ennas
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lunedì 5 maggio 2014
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in viaggio con locke
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Panorama notturno con le luci di una città, strade che s’incrociano nella notte punteggiate dai fari di un traffico incessante, un cantiere enorme, aperto come un cratere, il paesaggio che introduce il film “Locke” di Steven Knight, ci è così famigliare che quando un uomo, Ivan Locke, esce dal cantiere togliendosi gli abiti e le scarpe da lavoro, siamo pronti a salire con lui in macchina, passeggeri nell’ombra di questo viaggio che per oltre ottanta minuti si svolge all’interno di un’auto.
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Panorama notturno con le luci di una città, strade che s’incrociano nella notte punteggiate dai fari di un traffico incessante, un cantiere enorme, aperto come un cratere, il paesaggio che introduce il film “Locke” di Steven Knight, ci è così famigliare che quando un uomo, Ivan Locke, esce dal cantiere togliendosi gli abiti e le scarpe da lavoro, siamo pronti a salire con lui in macchina, passeggeri nell’ombra di questo viaggio che per oltre ottanta minuti si svolge all’interno di un’auto.
Ivan Locke, capo cantiere, sovrintende a quella che sarà all’indomani, a detta dei suoi capi, la più grande colata di cemento d’Europa e lui è designato a dirigerne le operazioni ma intanto riceve una chiamata : una donna, sua amante occasionale di una notte, si appresta a partorire , in un ospedale di Londra, il figlio frutto di quell’unico loro incontro, che lei, Bethan, una donna sola, non più giovane, vuole tenere.
E’ così, con la sola faccia visibile di Locke ( uno straordinario inarrivabile Tom Hardy ) assistiamo ai dilemmi della coscienza di un uomo. Costruttore per definizione e per mestiere collaudato, Locke, con la sua decisione di virare verso Londra e verso la nuda vita che nasce, accetta le conseguenze delle sue azioni cercando di limitarne le ricadute distruttive. Fare “la cosa giusta” comporta veder crollare un mondo di certezze e può lasciare anche Locke “nuda vita” come il bambino che sta per nascere.
I dialoghi telefonici a viva voce, la tessitura del film,molto essenziali ed importanti ci disegnano nell’ombra i profili degli interlocutori di Locke: il fantasma del padre assente, l’ego disperato della moglie Katrina alla scoperta di un altro Ivan, l’affetto dei figli, la rabbia furiosa del superiore di lavoro, l’allarme ma anche la devozione, l’amicizia del collega scelto da Locke come vice che si sostiene con l’alcool, lo smarrimento fragile, la solitudine della partoriente.
Tutti gli elementi tecnicamente curati di questo film ci invitano ad un applauso a scena aperta per l’intelligente audacia cinematografica di questo regista, per la sua bravura e per la prestazione formidabile dell’attore: il loro uomo concreto, il personaggio Locke è un eroe antico o post-moderno? Non c’importa distinguerlo ne datarlo: reso in maniera eccezionale, questo è un’uomo e questo è grande cinema da amatori. Da non mancare.
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mericol
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lunedì 9 marzo 2015
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un viaggio di 80 minuti che cambia la vita
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Può un film di 85 min con un solo protagonista (tutti gli altri sono soltanto voci attraverso un telefono) che guida un’auto per 85’, può avere l’andamento di un thriller ,pur senza morti, coinvolgere lo spettatore con una crescente tensione emotiva, farlo pensare per ore dopo la conclusione, il giorno successivo e forse altri giorni ancora? Penso di si. Può ottenere questo risultato il film Locke di S. Kneigth.
Ivan Locke ,in auto verso Londra, per un evento improvviso che sembra sconvolgergli la vita. Non ritorna quella sera in famiglia, dove lo aspetta il figlio Sean per gustare insieme la partita dell’anno in TV, della squadra del cuore.
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Può un film di 85 min con un solo protagonista (tutti gli altri sono soltanto voci attraverso un telefono) che guida un’auto per 85’, può avere l’andamento di un thriller ,pur senza morti, coinvolgere lo spettatore con una crescente tensione emotiva, farlo pensare per ore dopo la conclusione, il giorno successivo e forse altri giorni ancora? Penso di si. Può ottenere questo risultato il film Locke di S. Kneigth.
Ivan Locke ,in auto verso Londra, per un evento improvviso che sembra sconvolgergli la vita. Non ritorna quella sera in famiglia, dove lo aspetta il figlio Sean per gustare insieme la partita dell’anno in TV, della squadra del cuore. Dove lo attende la moglie Katrin che sta preparando amorevolmente la cena aderente ai suoi gusti. Ma tutto questo è poco rispetto all’abbandono di un compito professionale importante, il più importante della sua vita. E’ capocantiere di una grossa ditta di costruzioni e al mattino successivo è previsto uno scarico enorme di cemento che giungerà tra mille difficoltà burocratiche che solo lui, Ivan Locke, può superare.
Un viaggio verso Londra della durata verosimile di 80-90 min, quanto appunto durerà il film.
Si conosce presto il motivo del viaggio. Ivan deve raggiungere un Ospedale londinese ove una donna, con cui ha avuto un rapporto sessuale unico,casuale, una donna che non ha più visto, sta per avere un bambino, certamente suo, di Ivan.
Ivan è costretto a raccontare la vicenda alla moglie, per telefono. Giustificarsi, senza entrare nei particolari, con il figlio per il mancato ritorno a casa.
E’ costretto ad incaricare il suo sostituto in ditta per risolvere grossi problemi in sua assenza, sempre e solo telefonicamente, mentre guida. Ma, in particolare, a parlare per telefono con Bethan, l’amante di una notte, donna timida, tremebonda,insicura, che ha necessità della sua presenza fisica mentre partorisce. Ivan ricorda il suo passato, di bambino abbandonato dal padre, al quale rivolge,a parole, malgrado sia morto da tempo, pesanti invettive.
Perderà tutto. La famiglia (la moglie non lo vuole più), il lavoro (è licenziato). Giunge in Ospedale nel momento in cui sente, sempre e solo per telefono, i primi vagiti del neonato.
Ultimo fondamentale motivo per cui lo spettatore è coinvolto è la realizzazione del film in soggettiva nel buio della notte. Vedi e senti, il percorrere delle strade,le luci,il selciato, i lumi, i rumori dei clacson, le telefonate che si susseguono a ritmo incalzante. Oppure in oggettiva il solo volto in primo piano di Ivan. Si vive la vicenda di Ivan come in un thriller. Dove finirà? Come finirà?. Finisce in una posizione di responsabilità morale.
Cosa vuol dire il protagonista con la sua storia? Una trasgressione improvvisa, non prevedibile, certo non preordinata. Il protagonista dichiara le sue colpe, ma rispetta i suoi doveri verso la ditta, verso il figlio che sta nascendo.
Una conclusione che farebbe sperare in un Cinema che dà spazio a temi di alto contenuto morale. Sennonché questo tipo di film attira,nella nostra epoca, un numero non soddisfacente di spettatori.
Ultima nota: la superba interpretazione di Tom Hardy,barbuto, con primi piani di grande intensità espressiva.
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melvin ii
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sabato 3 maggio 2014
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un film tra road movie e seduta analitica
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Il biglietto d’acquistare per “Locke” è :
5)Sempre
Locke” è un film del 2013 scritto e diretto da Steven Knight, con protagonista Tom Hardy.
La pellicola è stata presentata fuori concorso alla 70ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il cellulare ha cambiato per sempre le nostre vite, stravolgendo abitudini e condizionando in larga parte le nostre azioni.
Il cellulare è una parte di noi, raramente lo spegniamo e quando lo facciamo siamo con l’ansia di una chiamata persa.
Una chiamata allunga una vita diceva Massimo Lopez in un famoso spot Telecom di tanti anni fa, ma in alcuni casi te la può distruggere.
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Il biglietto d’acquistare per “Locke” è :
5)Sempre
Locke” è un film del 2013 scritto e diretto da Steven Knight, con protagonista Tom Hardy.
La pellicola è stata presentata fuori concorso alla 70ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il cellulare ha cambiato per sempre le nostre vite, stravolgendo abitudini e condizionando in larga parte le nostre azioni.
Il cellulare è una parte di noi, raramente lo spegniamo e quando lo facciamo siamo con l’ansia di una chiamata persa.
Una chiamata allunga una vita diceva Massimo Lopez in un famoso spot Telecom di tanti anni fa, ma in alcuni casi te la può distruggere.
Il film, ambientato in una fredda notte inglese, parte con un operaio che finito di lavorare, entra nella sua macchina, si pensa per tornare a casa.
L’operaio è Ivan Locke(Hardy) che scopriamo essere, in vero, il responsabile di una importante impresa edile. Il giorno dopo è prevista una importante operazione di colata di cemento per la costruzione del più importante grattacielo mai costruito in Europa. Eppure il nostro protagonista ha altri progetti.
Un evento improvviso lo costringe in un notturno in macchina verso Londra.
Locke inizierà cosi una notte”di passione” al telefono con vari personaggi.
Lo spettatore ascolterà le sue telefonate con la famiglia, il capo e il suo più stretto collaboratore.
Con il passare dei minuti e delle continue telefonate, Locke spiega i motivi che lo spingono a questo viaggio.
Locke nonostante lo stress e l’angoscia, mantiene sempre la calma, cercando di raggiungere un difficile equilibrio tra vita privata e lavoro.
“Locke” è una via di mezzo tra un film on the road e una atipica seduta dall’analista.
Le telefonate sono sempre intense e coinvolgenti per lo spettatore , alternando però momenti drammatici e quelli divertenti.
La sceneggiatura sebbene non originale, è davvero incalzate, ben scritta e riesce a mantenere alta fino alla fine l’attenzione del pubblico, garantendo pathos ed intensità per tutto il film.
I dialoghi sono asciutti , ma densi e ben costruiti.
La regia è sicuramente di livello, riuscendo a creare un film “adrenalinico” sebbene girato in solo ambiente e facendo forza solo sulla parola e l’interpretazione fisica di un solo attore
L’interpretazione di Tom Hardy è assolutamente di talento e degna di un convinto plauso.
Riesce a trasmettere in maniera perfetta allo spettatore i diversi stati’animo che il personaggio affronta durante il viaggio.
Le espressioni facciali che sono il fulcro del racconto sono credibili e convincenti.
Si crea una bella simbiosi tra il protagonista e lo spettatore.
Il resto del cast, lo spettatore lo “ascolta” solo, ma le voci risultano azzeccate e in sintonia con il protagonista, regalando un bel equilibro tra suono ed immagine.
Il viaggio inizia per senso di responsabilità di Locke che alla fine gli costerà molto caro, ma il finale regala nonostante tutto una speranza e un sorriso al protagonista provato da questa lunga notte.
Dopo aver visto “Locke”, lo spettatore probabilmente cambierà il suo rapporto con il cellulare, ma sicuramente avrà ben chiaro come si fa una colata di cemento.
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(di fafia61)
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pepito1948
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martedì 6 maggio 2014
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la scelta di ivan
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Il viaggio di Ivan, capocantiere di una società che costruisce palazzi, inizia dopo una ponderata scelta “etica” che stravolgerà il suo immediato futuro. Ivan corre da solo sulla sua macchina incanalata nel fluido traffico serale diretto verso Londra, dove qualcuno l’aspetta con ansia. Anzi non proprio da solo; sul sedile posteriore la virtuale presenza del padre scomparso fa da passivo ricettore delle critiche, degli sfoghi, degli aspri rimproveri di chi vuole rimarcare la sua lontananza da quell’altra vita fatta di fughe, di viltà, di indifferenza; la sua scelta etica, che presuppone coraggio, senso di responsabilità e accettazione di sfavorevoli conseguenze, ne è la più lampante riprova.
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Il viaggio di Ivan, capocantiere di una società che costruisce palazzi, inizia dopo una ponderata scelta “etica” che stravolgerà il suo immediato futuro. Ivan corre da solo sulla sua macchina incanalata nel fluido traffico serale diretto verso Londra, dove qualcuno l’aspetta con ansia. Anzi non proprio da solo; sul sedile posteriore la virtuale presenza del padre scomparso fa da passivo ricettore delle critiche, degli sfoghi, degli aspri rimproveri di chi vuole rimarcare la sua lontananza da quell’altra vita fatta di fughe, di viltà, di indifferenza; la sua scelta etica, che presuppone coraggio, senso di responsabilità e accettazione di sfavorevoli conseguenze, ne è la più lampante riprova.
Ivan sa che, durante quell’ora e mezza di viaggio (più o meno quanto la durata del racconto), perderà probabilmente importanti pezzi della sua vita: la pace familiare e il posto di lavoro innanzitutto. Già, perché deve rivelare un periglioso segreto alla moglie e di lì a poche ore deve affrontare da lontano i complessi preparativi per un’operazione tecnica colossale da svariati milioni di dollari, contando esclusivamente sulla propria capacità professionale e sulla disponibilità di un suo collaboratore, amante del sidro e poco incline ad assumersi una così alta responsabilità, ma che si rivelerà determinante ai fini del risultato. Ivan, prima che le cose prendano una brutta piega, vuole comunque erigere il suo palazzo, costi quel che costi, perché è il palazzo della sua vita e nel contempo non può rinunciare alla sua missione rigeneratrice, che lo spinge lontano dalle fonti dei suoi problemi.
Unico strumento di collegamento per districare la matassa è il suo impianto telefonico satellitare. Le telefonate si accavallano, in un senso e nell’altro; Ivan impartisce istruzioni, fa rivelazioni destabilizzanti, para i colpi di rimando, modula i toni nella ricerca di quelli più efficaci, gestisce contemporaneamente una dinamica di rapporti diversi, affronta gli imprevisti suggerendo soluzioni improvvisate, con la consapevolezza che non può sbagliare un colpo e che deve fare affidamento anche sulla fortuna, che infatti gli arriderà. Arriverà in ritardo alla meta, ma non tanto da compromettere la sua missione etica, e, fermandosi, si guarderà intorno tra crepe e crolli parziali: ma il palazzo è salvo.
Il regista Knight ha impostato il viaggio on the road, come di consueto, sul doppio binario dell’avventura, qui tutta racchiusa nei contatti telefonici che rivelano una grado crescente di peripezie come i moderni giochi elettronici, e della ricerca di un’identità umana difficile e foriera di rinunce, attraverso un percorso di autorealizzazione che implica la determinazione di non sottrarsi ad un’opzione che non dà felicità ma pace interiore. Il racconto si snoda come un thriller che procede sotto l’incalzare delle difficoltà e delle tensioni interpersonali, senza concedere pause nonostante la invariabilità della location e la presenza di un solo personaggio, che tiene le fila di un insieme complesso di relazioni umane confidando quasi del tutto sulle proprie capacità di azione e reazione. Knight è bravo a tenere insieme il frammentato quadro narrativo senza smagliature o cadute di ritmo, grazie anche all’ottima performance di Tom Hardy e delle voci degli assenti. La metafora del palazzo come capacità dell’uomo di erigersi verso la perfezione superando ogni sorta di ostacoli ed impedimenti è forse un po’ scontata, ma il film è ben costruito e scorre agevolmente verso un finale agro-dolce.
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beppe baiocchi
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giovedì 15 maggio 2014
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una claustrofobica analisi psicologica
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Un claustrofobico viaggio in auto nella notte Inglese. Il percoso di un uomo, Ivan Locke, capocantiere edile scrupoloso e preciso. Un cammino di redenzione di un ora e mezzo sviluppato nelle cinque porte di una BMV con un solo attore (il sempre bravo Tom Hardy) e il telefono in vivavoce dell'auto.
Steven Kinght ,regista e sceneggiatore, (famoso per aver curato la sceneggiatura di Piccoli Affari Sporchi di Frears e La promessa dell'assassino di Cronenberg) qui al secondo lungometraggio firma un dramma atipico, quasi teatrale, assurdo per la concezione moderna di cinema. Tutta la pellicola infatti è sviluppato esclusivamente in macchina, con un solo personaggio in scena. La totale mancanza del movimento in scena (nonostante il luogo in cui la scena è sviluppata sia in un veicolo in costante movimento) è necessaria per soffermarsi in maniera migliore sulla assurda situazione che Ivan Locke vive.
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Un claustrofobico viaggio in auto nella notte Inglese. Il percoso di un uomo, Ivan Locke, capocantiere edile scrupoloso e preciso. Un cammino di redenzione di un ora e mezzo sviluppato nelle cinque porte di una BMV con un solo attore (il sempre bravo Tom Hardy) e il telefono in vivavoce dell'auto.
Steven Kinght ,regista e sceneggiatore, (famoso per aver curato la sceneggiatura di Piccoli Affari Sporchi di Frears e La promessa dell'assassino di Cronenberg) qui al secondo lungometraggio firma un dramma atipico, quasi teatrale, assurdo per la concezione moderna di cinema. Tutta la pellicola infatti è sviluppato esclusivamente in macchina, con un solo personaggio in scena. La totale mancanza del movimento in scena (nonostante il luogo in cui la scena è sviluppata sia in un veicolo in costante movimento) è necessaria per soffermarsi in maniera migliore sulla assurda situazione che Ivan Locke vive.
Un film la cui trama semplicissima non deve essere sviscerata ma analizzata dallo spettatore (o forse è meglio definire il passeggero) che sicuramente cadrà in empatia con il protagonista, ne percepirà il pensiero, i problemi, il disagio, il fastidio delle numerose telefonate cariche di problemi che Locke dovrà sistemare per essere in pace con se stesso. Una scrittura molto curata dei dialoghi ben concatenati e ben sviluppati (e non troppo filosofeggianti) aiuta il film ad uscire dalla noia che la troppa monotonia di inquadrature, scena e azioni porta.
Certo non è un film per tutti, un ora e mezzo esclusivamente in auto in un percorso dritto come un autostrada annoia anche un automobilista incallito, e magari vederlo al cinema potrebbe non essere il massimo.
Bisogna dunque vedere il film consapevoli di ciò che ci aspetta. Lo spettatore però ,consapevole, saprà guardare oltre e soffermarsi sull'analisi psicologica di questo dramma che è Locke e sicuramente ne uscirà piacevolmente sorpreso poichè il linguaggio è facilmente comprensibile (al contrario di film similari almeno ,per le intenzioni, come Cosmopolis e Holy Motors, secondo me migliori di questo ma decisamente disturbanti e di difficile analisi).
Complimenti dunque a Steven Knight e al suo atipico modo di vedere il cinema.
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mauro.t
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giovedì 29 maggio 2014
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l'etica della responsabilita'
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Un affidabilissimo e integerrimo ingegnere, padre di famiglia, alla vigilia di una operazione importantissima nel cantiere che conduce, se ne va perché ritiene che la sua presenza sia più importante vicino ad una persona che ha bisogno di lui. Ma non abbandona i suoi compiti. Dall’auto che sta guidando, continua a lavorare col telefono, affrontando gli imprevisti, risolvendo i problemi, rispondendo agli improperi del capo e impartendo ordini al sottoposto. Continua così a prendersi cura della colata di calcestruzzo, che sarà la base di un palazzo di 55 piani, di cui si sente ancora responsabile. Vuole che tutto sia fatto nel migliore dei modi, anzi, nell’unico modo possibile: quello giusto.
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Un affidabilissimo e integerrimo ingegnere, padre di famiglia, alla vigilia di una operazione importantissima nel cantiere che conduce, se ne va perché ritiene che la sua presenza sia più importante vicino ad una persona che ha bisogno di lui. Ma non abbandona i suoi compiti. Dall’auto che sta guidando, continua a lavorare col telefono, affrontando gli imprevisti, risolvendo i problemi, rispondendo agli improperi del capo e impartendo ordini al sottoposto. Continua così a prendersi cura della colata di calcestruzzo, che sarà la base di un palazzo di 55 piani, di cui si sente ancora responsabile. Vuole che tutto sia fatto nel migliore dei modi, anzi, nell’unico modo possibile: quello giusto. A monte, emerge il suo vissuto di bambino di cui un padre irresponsabile non si è preso cura. Lui è diverso dal padre, vuole esserlo. La sua vita sta andando a pezzi e lui lo sa, ma affronta la situazione nel modo che ritiene più giusto, cercando lucidamente di salvare il salvabile e di ridurre i danni, senza mai perdere di vista le ricaduta delle sue azioni sulla collettività. La sua scelta però spiazzerà tutti quelli che gli sono vicini, avrà costi altissimi e la sua vita cambierà completamente nell’arco di una notte. Il film è girato interamente nell’abitacolo di un’auto, con il solo protagonista visibile. Lo spettatore viene a conoscenza dei problemi in un crescendo tramite le telefonate con il capo, la moglie, il figlio, l’operaio e la persona che lo sta aspettando. Il tema è quello della responsabilità, di cui il film analizza cause e conseguenze dal punto di vista sociale e individuale. Bellissimo, girato benissimo, col valore aggiunto di un tema etico di peso. Sconsigliato a chi la parola “responsabilità” non dice nulla.
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claudiofedele93
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sabato 23 maggio 2015
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locke: silenzi e sofferenza.
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Le auto nella nostra società hanno preso sempre più piede ed importanza con il passare del tempo, sebbene fino a poco meno di 60 anni fa pochi potessero permettersi un mezzo a quattro ruote a causa dell’elevato prezzo, oggi vivere senza un mezzo di trasposto come l’automobile sarebbe impensabile, ed anche per coloro che non se la sentono di mettere le mani su un volante, vengono ad ogni modo agevolati dai mezzi pubblici.
Vi chiederete: perché questa, magari anche relativamente retorica, riflessione sulle auto e sul mondo moderno? Semplice, perché il Cinema, fin dagli esordi, è sempre stato un riflesso distorto, dalla menta umana, della realtà che circondava l’uomo ed il grande paradosso, se volessimo cercare il pelo nell’uovo, è che la prima proiezione fatta dai fratelli Lumiere era proprio di un treno in corsa su dei binari, come ci ricorda il maestro Martin Scorsese, in Hugo, un genio assoluto della settima arte che proprio in un comune taxi americano di New York è riuscito a dar vita ad una pellicola cult con protagonista Robert De Niro: Taxi Driver.
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Le auto nella nostra società hanno preso sempre più piede ed importanza con il passare del tempo, sebbene fino a poco meno di 60 anni fa pochi potessero permettersi un mezzo a quattro ruote a causa dell’elevato prezzo, oggi vivere senza un mezzo di trasposto come l’automobile sarebbe impensabile, ed anche per coloro che non se la sentono di mettere le mani su un volante, vengono ad ogni modo agevolati dai mezzi pubblici.
Vi chiederete: perché questa, magari anche relativamente retorica, riflessione sulle auto e sul mondo moderno? Semplice, perché il Cinema, fin dagli esordi, è sempre stato un riflesso distorto, dalla menta umana, della realtà che circondava l’uomo ed il grande paradosso, se volessimo cercare il pelo nell’uovo, è che la prima proiezione fatta dai fratelli Lumiere era proprio di un treno in corsa su dei binari, come ci ricorda il maestro Martin Scorsese, in Hugo, un genio assoluto della settima arte che proprio in un comune taxi americano di New York è riuscito a dar vita ad una pellicola cult con protagonista Robert De Niro: Taxi Driver.
Per questo e molti altri motivi, le automobili sono costantemente prese in analisi da registi e sceneggiatori che ambientano, di tanto in tanto, particolari storie a bordo di quest’ultime. Come molte altre prima di lui, anche Locke offre, nella sua essenza più pura, un semplice viaggio in macchina di un’ora e mezza, con un solo protagonista in carne ed ossa a bordo, interpretato da Tom Hardy, costretto a fare delle scelte al telefono con le persone a lui care, combattere contro i fantasmi del proprio passato che lo tormentano, prima che la sua vita venga distrutta da un vortice inarrestabile di errori e sviste.
La vicenda raccontata, scritta e girata da Steven Kinght, già producer de La Promessa dell’Assassino, è un on the road puro, che si mostra tale e letteralmente trascina il pubblico in un viaggio senza soste lungo una delle tante autostrade per Londra. La scelta, rischiosa, ma allo stesso tempo coraggiosa, di fare una pellicola in un unico abitacolo porta, alla fine, lo spettatore a vedere il mondo di Ivan Locke attraverso ben tre prospettive: quella oggettiva, quella del protagonista e quella di coloro che gli stanno attorno, a cominciare dalla donna che sette mesi prima ha messo incinta per errore, e che adesso inaspettatamente sta per partorire; dalla moglie, che saputo del tradimento del marito per telefono ha una crisi di nervi; quella dei sigli, in attesa che il padre torni a guardare la partita, ignari di tutto ciò, fino a quella del collega di lavoro, un ingegnere meno esperto di quest’ultimo, che la mattina dopo dovrà prendere il posto di Ivan per la più grande colata di calcestruzzo mai realizzata in Europa per le fondamenta di un palazzo.
Ivan è in tutto e per tutto un perdente, che potrebbe ricordare quelli dei fratelli Coen inizialmente, ma una volta conosciuto meglio egli si rivela essere completamente diverso, meno sopra le righe ed ironico, poiché quel che affascina della sua figura non è la autocommiserazione o il senso di darsi per vinto, ma quella sfumatura di responsabilità e volontà di aggiustare le cose anche quando queste vanno tutte a rotoli, cercando di mettere insieme i pezzi di una vita andata distrutta in meno di due ore, ma che, forse, potrebbe ancora regalargli qualche speranza o soddisfazione. Perché è nella voce sempre pacata, quasi innaturalmente calma di Tom Hardy che Locke prende la forma di un film intrigante, un thriller psicologico atipico rispetto alla concorrenza, il quale grazie al suo protagonista appare tanto drammatico quanto verosimile, al contrario di molti altri lavori fin troppo artificiosi. Sebbene, ad ogni modo, la storia proposta non sia tra le più innovative, l’impostazione, l’elegante regia, la prova di Hardy quale unico interprete, portano a congratularsi con il lavoro svolto da Knight.
L’introspezione psicologica è l’elemento meglio riuscito, annessa alla sincerità di una messa in scena che non prevede mai grandi momenti di inaspettata tensione, caratterizzata, proprio come Locke, da una calma apparente che sembra far portare realmente il pubblico nella triste vicenda di Ivan, conservandogli un posto nella sua Bmv, ascoltando le conversazione al telefono di un uomo, che per non commettere altri errori, e non comportarsi nel modo sbagliato, come il proprio padre, decide di agire nel modo migliore, da uomo maturo, anche a rischio di perdere la propria famiglia, il lavoro, la casa e le fondamenta, non quelle del palazzo che gli hanno commissionato di realizzare, ma quelle della propria esistenza. I silenzi che accompagnano il protagonista, la frustrazione nel saper di essere figlio di un uomo spregevole, il terrore di non avere più nulla in mano, sono continuamente accompagnati dai numerosi scorci notturni stradali, seguiti da dissolvenze che strizzano l’occhio a quelle di Duel di Spielberg in varie occasioni e portano noi tutti alla destinazione di Ivan Locke, il quale, dopo poco meno di due ore, raggiunge la desiderata e dannata meta, conscio di essere un uomo completamente diverso dall’inizio di quella fatidica giornata, una persona che ha lasciato alle spalle la propria vita, o con la quale può ancora aver a che fare con alcuni resti di essa (i figli, ad esempio), ma che al contempo, da quelle ceneri, possa sperare nella venuta di un nuovo inizio, metaforicamente accompagnato dai vagiti di un bambino, del proprio bambino.
Locke è un film solido, sicuro, che parla di noi tutti, non in modo iperbolico, ma reale, portato avanti da una grande prestazione di Tom Hardy, non più dietro ad una maschera come per The Dark Kinght Rises, ma sempre con quello sguardo fisso sulla telecamera e sulla strada, sempre pronto a dare vita alla propria disperazione e rabbia, rassegnazione e frustrazione, eppur comunque costantemente mai sopra le righe, un uomo che si approccia alla vita, probabilmente, nel modo più realistico possibile, ed il riflesso, nello specchietto, di Ivan Locke, gli occhi di quest’ultimo, sono lo specchio della sua anima, delle sue sofferenze, ma anche della sua tenacia e forza. Come Cosmopolis di Cronenberg, ed Holy Motors, anche stavolta siamo dinnanzi ad una lezione di grande cinema, una macchina ad ingranaggi che non commette errori, ove ogni pezzo è al suo posto. A Locke non si potrebbe chiedere di più.
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eugenio
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venerdì 11 luglio 2014
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in viaggio verso il destino
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A Steve Knight piace l’azzardo. Lo sceneggiatore prediletto Cronenberg e Stephen Frears, famoso per il recente La promessa dell’assassino confeziona un’opera interessante da regista, stilisticamente impeccabile e tecnicamente riuscita come sceneggiatura.
Il coraggio non manca al giovane player. Sfruttare una situazione di tensione per un’ora e mezza senza alcun protagonista se non la strada e l’abitacolo del protagonista, è assolutamente foriero alla cinematografia. Certo qualcosa c’era già stato; senza andare troppo indietro nel tempo, il recente Cosmopolis di Cronenberg aveva chiuso in un abitacolo di pochi metri quadri, l’esistenza di un protagonista ma con Locke andiamo oltre.
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A Steve Knight piace l’azzardo. Lo sceneggiatore prediletto Cronenberg e Stephen Frears, famoso per il recente La promessa dell’assassino confeziona un’opera interessante da regista, stilisticamente impeccabile e tecnicamente riuscita come sceneggiatura.
Il coraggio non manca al giovane player. Sfruttare una situazione di tensione per un’ora e mezza senza alcun protagonista se non la strada e l’abitacolo del protagonista, è assolutamente foriero alla cinematografia. Certo qualcosa c’era già stato; senza andare troppo indietro nel tempo, il recente Cosmopolis di Cronenberg aveva chiuso in un abitacolo di pochi metri quadri, l’esistenza di un protagonista ma con Locke andiamo oltre.
Il virtuosismo artistico di Knight muove abilmente le capacità attoriali del protagonista indiscusso, Tom Hardy, in una storia verosimile, dinamica e nervosa con dialoghi scattanti con “entità” foriere, esterne al mondo avulso entro cui il protagonista viaggia nella notte.
Su un’autostrada verso Londra guida infatti un costruttore di edifici, dal promettente futuro presso una multinazionale americana. E’ sposato con due figli ma la sua vita apparentemente serena subisce una decisa svolta questa notte. Eppure, tutto segue i suoi piani: impeccabile e indefesso all’alba avrebbe dovuto presiedere alla più ingente colata di cemento di cui si sia mai dovuto occupare. Avrebbe appunto.
Ma il destino che qui ha il nome di Bethan, una donna “brutta, l’avventura di una notte, avevo bevuto qualche bicchiere di troppo per la felicità del mio ultimo lavoro brillantemente compiuto”, rovina tutto riscrivendone ogni tappa.
Deciso ad assumersi la responsabilità della nascita di un bambino, andando oltre l’aborto anche se questo comporterà la decisa cesura con la sua famiglia e il lavoro visto che l’evento clou sarà evidentemente secondario rispetto alla scelta di assistere la donna partorire, Locke compie un viaggio nei recessi della sua anima, un onirico cammino che lo porta a rivedere ogni sua scelta per farsi carico, finalmente, di ogni responsabilità.
Raro esempio di un film dove il tempo di ripresa della pellicola coincide con quello della vita reale scandito dai ritmi irrefrenabili di una cieca corsa contro il tempo, Locke descrive l’importanza dell’assunzione delle proprie scelte, delle proprie azioni e dei propri errori sfruttando l’emblematico esempio di un uomo che ha fatto della sicurezza il proprio lavoro.
Ma quel cemento a presa rapida che dovrebbe essere motivo unificatore e legame affettivo indissolubile si incrina, cadendo sotto il peso di una menzogna che ne ha minato irrimediabilmente le basi, spinto da un lassismo e superficialità che pare una costante del nostro tempo. Knight è qui abile a mostrare il capovolgimento spirituale dell’anima di Locke permeato da un forte senso di dignità e stoicismo che lo porta a rinunciare a scelte non facili, tutte mostrate ai nostri occhi su un piatto d’argento attraverso delle chiamate a familiari/parenti/amici.
Locke rinuncia a posizioni importanti, all’affetto del figlio e alla partita di baseball, all’amore della moglie tentando anche quando tutto è perduto, quando oramai è stato licenziato come capocantiere, di portare a termine l’ultimo incarico, la colata di calcestruzzo per cui ha lavorato per così tanto tempo e che ora non gli appartiene, guidando l’ignaro capo degli operarai, ubriaco di sidro a impegnarsi affinchè le strade siano sicuramente chiuse, le fondamenta siano profondamente all’altezza.
Ma perchè ora che è inutile, ora che il tempo è dedicato alla sconosciuta in sala parto, ora che la macchina è lanciata a folle corsa verso quel dannato ospedale, lontano dagli affetti, dal lavoro, dalla vita borghese?
Il regista americano ci mostra nell’atto di fuga che diviene responsabilità, nella scelta morale che diviene spinta calvinista, la fragilità di un uomo esasperatamente debole ma capace nel suo torto, nel suo errore, di trovare una soluzione priva di scappatoie, assumendosi quella responsabilità fugaci senza sfruttare l’opportunismo e le scelte facili (una possibile? Sovrintendere alla colata e recarsi il giorno dopo all’ospedale abbandonando tutto) con il coraggio di prendere una strada nuova, forse non giusta ma sicuramente priva di rimorsi.
È una questione di scelta, possibilità. Ecco cosa è Locke, questa pellicola di un’ora e mezza scarsa in grado, con le luci cupe della sera e del serpente d’auto verso il destino, di mostrarci la sliding door di un essere qualunque piegato da eventi più grandi che trovano il modo di insinuarsi nelle gallerie incerte e insicure del nostro (poco) quotidiano vivere.
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filippo catani
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domenica 18 maggio 2014
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un viaggio esistenziale
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Ivan Locke è un capocantiere che nella notte si sta dirigendo in autostrada verso Londra. L'uomo, nell'ora e mezza che lo divide dalla destinazione, cercherà di risolvere al telefono alcuni problemi che gli cambieranno la vita.
Il riassunto migliore della pellicola è fatto dal protagonista stesso che al telefono racconta di come alla partenza del viaggio avesse tutto (lavoro, famiglia e affetti) e di come ora si ritrovi senza niente. Sì perche Ivan Locke, in un brevissimo lasso di tempo, deve occuparsi: di un'importantissima colata di cemento per un grandioso complesso residenziale, della donna con cui ha intrattenuto una fugace relazione e che sta per partorire e della moglie a cui deve spiegare l'intera situazione.
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Ivan Locke è un capocantiere che nella notte si sta dirigendo in autostrada verso Londra. L'uomo, nell'ora e mezza che lo divide dalla destinazione, cercherà di risolvere al telefono alcuni problemi che gli cambieranno la vita.
Il riassunto migliore della pellicola è fatto dal protagonista stesso che al telefono racconta di come alla partenza del viaggio avesse tutto (lavoro, famiglia e affetti) e di come ora si ritrovi senza niente. Sì perche Ivan Locke, in un brevissimo lasso di tempo, deve occuparsi: di un'importantissima colata di cemento per un grandioso complesso residenziale, della donna con cui ha intrattenuto una fugace relazione e che sta per partorire e della moglie a cui deve spiegare l'intera situazione. Ambientato tutto all'interno di una macchina e con il protagonista costantemente attaccato al telefono, il film ha dalla sua innanzitutto uno straordinario Tom Hardy che cerca di mantenere il controllo della macchina e di se stesso in quella che senza dubbio sarà la notte più difficile della sua vita. Quindi poi troviamo un buon ritmo ma soprattutto una saggia durata in quanto non si poteva tirare la corda troppo a lungo. Ottimo anche il fatto di non prendere le parti di nessuno ma di lascviare allo spettatore la valutazione delle azioni di Ivan senza tanti moralismi. Presentato a Venezia fuori concorso e per tutti il vincitore morale del Festival, Locke è la testimonianza di come si possa fare dell'ottimo cinema partendo da ingredienti semplici se ovviamente hai a disposizione un ottimo chef e in questo caso Knight si dimostra più che all'altezza.
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mikymann
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venerdì 16 maggio 2014
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ivan contro ivan
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C'é una sorta di "nemesi storica" in questo film che sembra fatto apposta più per costruirvi sopra delle recensioni che per essere visto al cinema.
E l'inconscio di Ivan Locke sembra, infatti, quasi voler perdere tutto quello che ha costruito nella vita per farla pagare al padre, colpevole di averlo abbandonato da piccolo.
Per tutta la vita per Ivan quest'assenza del padre è stata la colpa, la massima colpa, ed ora che anche lui, che pure ha improntato tutta la sua vita al rispetto quasi maniacale delle regole forse proprio per reazione, si ritrova a dover diventare padre per accidente, non può accettare di smentire se stesso, di veder riproiettato su di sè tutto il male che aveva visto in suol padre.
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C'é una sorta di "nemesi storica" in questo film che sembra fatto apposta più per costruirvi sopra delle recensioni che per essere visto al cinema.
E l'inconscio di Ivan Locke sembra, infatti, quasi voler perdere tutto quello che ha costruito nella vita per farla pagare al padre, colpevole di averlo abbandonato da piccolo.
Per tutta la vita per Ivan quest'assenza del padre è stata la colpa, la massima colpa, ed ora che anche lui, che pure ha improntato tutta la sua vita al rispetto quasi maniacale delle regole forse proprio per reazione, si ritrova a dover diventare padre per accidente, non può accettare di smentire se stesso, di veder riproiettato su di sè tutto il male che aveva visto in suol padre.
Così tutto viene stravolto da questa lotta contro il padre che è istinto e non ragione, tentativo di espiazione più che senso di responsabilità.
E se Ivan Locke perde tutto e forse capisce, dai colloqui con la moglie e soprattutto con quei due figli che dovrà abbandonare per non abbandonarne un altro, che la vita non è tutta bianca o tutta nera, il suo inconscio invece gioisce per aver finalmente trovato pace nell’aver chiuso vittoriosamente la sua personale partita con il padre.
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