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Ho la sensazione che, spesso, scrivere di cinema non significhi nient’altro che scrivere della vita perché il cinema non è nient’altro se non un’altra faccia della stessa vita. Penso non solo di essere di sinistra ma anche di esserlo sempre stato e penso di aver sempre combattuto non solo per la mia libertà ma anche per quella degli altri: è quindi abbastanza probabile che io sia benevolmente prevenuto nel parlare di un film incentrato sulla lotta all’apartheid ma spero pure di riuscire ad essere talmente obiettivo per dire che un film è brutto anche se parla di un argomento che mi sta molto a cuore: credo quindi di poter scrivere a cuor leggero di aver visto un bel film. Rimangono comunque, oltre la bellezza, le domande e i fondamentali interrogativi che la visione della pellicola pone a tutte le persone di buona volontà: quale è lo spartiacque tra terrorismo e lotta per la liberazione? Esiste qualche giustificazione per la tortura? Da dove trae le sue origini e le sue motivazioni il perdono? Esiste una palestra mentale migliore del cinema?
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