Wolf Creek |
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Un film di Greg McLean.
Con John Jarratt, Cassandra Magrath, Andy McPhee, Kestie Morassi, Guy Petersen, Nathan Phillips.
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Horror,
durata 99 min.
- Australia 2004.
uscita venerdì 18 novembre 2005.
MYMONETRO
Wolf Creek
valutazione media:
1,81
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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moderni spettacoli circensidi figliounicoFeedback: 51360 | altri commenti e recensioni di figliounico |
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lunedì 27 marzo 2023 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Greg McLean, servendosi degli elementi tipici della filmografia di genere, lo splatter e lo slasher, confeziona un thriller-horror che, per la sua estrema semplicità, può essere paragonato ad una favola nera, pur ispirandosi ad una storia vera, in cui il lupo mangia cappuccetto rosso, favola che lo spettatore bambino, sebbene già conosca come vada a finire, non si stanca mai di riascoltare. McLean colloca teatralmente i protagonisti essenziali della storia, il serial killer e le sue vittime, sul palcoscenico naturale del deserto australiano, in una dimensione scenografica unica, con il cratere meteoritico di Wolfe Creek sullo sfondo che richiama alla mente l’anfiteatro romano ed i suoi sanguinosi e feroci giochi circensi. Come da solito rituale del plot horror c’è una premessa al sacrificio umano. L’antefatto è ambientato, a contrasto con il girone infernale in cui cadranno i protagonisti, su una spiaggia paradisiaca tra spensierati vacanzieri e ragazzi che si divertono. Si alternano inquadrature da spot turistico sul paesaggio idilliaco e primi piani dei tre giovani amici, due donne ed un uomo, a rimarcarne l’entusiasmo per quel viaggio tanto atteso, forse preparato per far nascere una storia d’amore. Il classico schema del thriller, in cui lo spettatore passivamente segue le vicende dei personaggi, in un’atmosfera di incertezza da cui nasce la suspense, si capovolge a suo vantaggio, già conoscendo il destino cui vanno incontro i suoi eroi. Non si è empaticamente parte dell’azione, non si condivide la sorte dei personaggi, che tutt’al più possono suscitare pena, ma c’è, invece, un piacere sadico nel guardare con quali modalità saranno torturati ed uccisi, simile a quello che dovevano provare gli antichi romani che assistevano al massacro dei cristiani al Colosseo. Qui il leone a caccia è il serial killer col cappello da cowboy. Continuando nella metafora, se il pollice alzato non funziona la prima volta, l’imperatore-regista tuttavia accoglie le implicite richieste di grazia di un pubblico che ancora vuol sentirsi umano, nonostante non possa negare il desiderio inconscio di veder soffrire il suo prossimo, e la salvezza arriva, a sorpresa, per chi era dato già per morto.
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