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Le prime scene sono un mix tra un film dei fratelli Coen e Revenant: un misterioso personaggio si muove tra i boschi in Norvegia vestito come un vichingo cacciando con arco e frecce e cercando di vivere dei frutti della natura. Peccato, che l’uomo, Martin, appaia piuttosto impacciato, i suoi colpi finiscono non esattamente come prefissato e privo di quell’autosufficienza necessaria alla sopravvivenza da rude trapper, soprassede temporaneamente ai suoi bucolici intenti, si reca in un supermercato, fa la spesa ma finisce per litigare con un commesso perché non ha bancomat o contanti per pagare.
Questo l’inizio di Wild men che come ben si intuisce pare già demenziale. In parallelo, tre spacciatori, incappano in un incidente (da vedere), se ne salva uno che scappa, in maniera rocambolesca e con chi finisce per intrecciare il suo destino? Esatto, proprio col “vichingo” Martin, che scopriamo essere danese, tra l’altro cittadino, fuggito nei boschi, alla ricerca della propria libertà spirituale, con tanto di moglie preoccupata e famiglia idilliaca (sic talis). I due, ignorando la vera natura del compagno che hanno accanto, inizieranno un viaggio diretti ad un misterioso villaggio vichingo e a una nuova vita cui tendere, seguiti da un tenace quanto stoico poliziotto, anziano, ligio al dovere e due colleghi giovani altrettanto stralunati e soprattutto indisposti.
Wild men del danese Thomas Daneskov tra incidenti, panorami mozzafiato sui monti e una natura non sempre così primigenia, in cui il progresso sembra averne contaminato i superstiti scampoli di selvaggia bellezza, finendo per rendere artificioso persino un cammino spirituale, scivola via nelle sue due orette scarse come sabbia tra le dita. Col suo mix di commedia nera e thriller, racconta in fondo, col pretesto della fuga, il nostro disagio esistenziale odierno, il marcato desiderio di evasione dagli agi di una civiltà connessa, il sentimento di un tempo in cui, in maniera controcorrente, abusati di tecnologia, cerchiamo di liberarci da essa senza tuttavia trovare le capacità e soprattutto la volontà di rinunciare.
E, in fondo, Wild men, parla anche di famiglia, di legami, di rapporti. Nei dialoghi tra moglie e marito si legge tutto quell’assurdo rifiuto dei dogmi sociali, di quelle contraddizioni alla modernità che spingono fuori e ricacciano dentro il grumo di un disagio mai prossimo alla fine.
Limite e gioia di ogni esistenza.
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