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Presentato al Toronto International Film Festival nel 2015, Parched, terzo film della regista indiana Leena Yadav, ha ricevuto una buona accoglienza da parte della critica internazionale ma ha faticato al botteghino in India, dove ha acquisito maggiore notorieta’ per le esplicite scene di sesso che per il suo contenuto, ancorche’ all’estero abbia ottenuto una risposta di pubblica piu’ positiva in virtu’ del contenuto, dedicato alla lotta per l’emancipazione della donna in una societa’ arcaica ed ostile.
Sebbene talvolta il film tenda alla semplificazione narrativa e al manicheismo dei caratteri, merita di essere visto per l’onesta capacita’ di raccontare le insopportabili difficolta’ delle quattro protagoniste e per alcuni momenti di bellissima ed ispirata fotografia.
In un remoto Villaggio del Rajasthan, le vite della vedova Rani, della ballerina e prostituta Bijli, della moglie senza figli Lajjo, e della sposa-bambina Janaki sono emozionalmente avviluppate e oscurate dalle violenze ed i pestaggi degli uomini che popolano le loro esistenze, schiacciandole ogniqualvolta provino ad alzare la testa. Le protagoniste sono scelte non solo per rappresentare le difficolta’ della condizione femminile in una societa’ arcaica e maschio-centrica, purtroppo non limitata solamente all’India rurale, come purtroppo i notiziari ci ricordano con troppa frequenza, ma disegnate per estremizzare ancora piu’ chiaramente la loro muta marginalita’ sociale senza futuro e senza speranza.
Giocando sottilmente sui significati del titolo inglese Parched, che puo’ essere tradotto sia come inaridito che assetato, lo spirito delle quattro donne e’, per ragioni diverse, inaridito dalla perifericita’ del loro villaggio e dall’insopportabile pressione esercitata da una societa’ arretrata dove una donna che sappia leggere e’ solo una cattiva moglie, dove le violenze e gli stupri sono la norma, remissivamente e dolorosamente accettati come ineluttabili anche dalle stesse vittime, ma anche assetato di una vita che sanno esistere e di meritare. Traendo forza dalla loro profonda amicizia ed intimita’, anche fisica, che le unisce, sia per gli anni condivisi che, nel caso della sposa-bambina, per i ricordi del loro passato, trovano alla fine il coraggio di affermare il loro valore di esseri umani, sciogliendo i legami con i maschi che le opprimevano, purificando le loro vite con il fuoco che brucia il marito violento e l’affrancamento dalla prostituzione, in un finale che, citando Thelma e Louise, e’ peraltro illuminato dal raggio verde della speranza, rappresentato dalla scelta della strada da prendere ad un bivio e dalla riunione di Janaki con il suo amore dei tempi della scuola.
Un film coraggioso e ben diretto, che mescola gradevolmente stilemi di Hollywood e di Bollywood, Parched riesce a coinvolgere lo spettatore, di qualsiasi sesso, in quanto la lotta per il riconoscimento della propria umanita’ e dei diritti basilari sorpassa la contrapposizione uomo/donna, come accennato dal rifiuto del villaggio nei confronti della moglie di origini straniere del locale imprenditore tessile, e diventa uan lotta dell’essere umano per il riconoscimento e rispetto della stessa condizione umana. Una fotografia interessante e delicata sopperisce alle occasionali scorciatoie psicologiche ed alla frequente romanticizzazione di alcuni dei personaggi, peraltro ben recitati dal tutto il cast, fra cui spiccano Tannishtha Chatterjee nel ruolo di Rani e Radhika Apte in quello di Lajjo.
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