Frammenti di luce

Nella dedica a fine del film il regista Rúnar Rúnarsson cita due persone morte quando adolescenti. Penso quindi si tratti di un potente fatto autobiografico, che ha che fare con una delle cose più difficili per l’essere umano (e anche per un regista): elaborare un lutto di una persona cara morta troppo presto, quando non te lo saresti mai aspettato, e tutta la vita sembrava sorridergli. Il film comincia con un ragazzo, Diddi, che ha una nuova ragazza, Una, e che deve tornare al paese natio, anche per dire a Klara che la loro relazione è giunta al termine. Ma così non andranno le cose. Diddi muore in uno spaventoso incidente in un tunnel. Lui è morto, ma rimangono i vivi: Una (consapevole), Klara (inconsapevole), gli amici (inconsapevoli tranne uno), i genitori (ma vediamo solo il padre di Una, poco soddisfacente e mancante anche di una briciola di empatia). [+]

Nella dedica a fine del film il regista Rúnar Rúnarsson cita due persone morte quando adolescenti. Penso quindi si tratti di un potente fatto autobiografico, che ha che fare con una delle cose più difficili per l’essere umano (e anche per un regista): elaborare un lutto di una persona cara morta troppo presto, quando non te lo saresti mai aspettato, e tutta la vita sembrava sorridergli. Il film comincia con un ragazzo, Diddi, che ha una nuova ragazza, Una, e che deve tornare al paese natio, anche per dire a Klara che la loro relazione è giunta al termine. Ma così non andranno le cose. Diddi muore in uno spaventoso incidente in un tunnel. Lui è morto, ma rimangono i vivi: Una (consapevole), Klara (inconsapevole), gli amici (inconsapevoli tranne uno), i genitori (ma vediamo solo il padre di Una, poco soddisfacente e mancante anche di una briciola di empatia). Ai vivi il difficilissimo compito di trovare una strategia affinché il lutto non si trascini come un peso insostenibile per tutta la loro vita. Quindi assistiamo a tutta una serie di modalità messe in atto per l’arduo compito dai diversi personaggi. E Una non dice mai a Klara il suo segreto. Assistiamo ma non ci permettiamo di giudicare perché se la vita non ci avesse messo così a dura prova, non avremmo mai saputo come avremmo reagito. A questo proposito mi viene a mente MacDuff (atto quarto, scena terza) nel Macbeth di Shakespeare, quando rifugiatosi a Londra dal figlio del re Duncan, Malcolm, viene a sapere per bocca di Ross che Macbeth gli ha massacrato la moglie e i figlioletti. Malcolm gli dice: Su, vecchio mio! Non calarti il cappello sulla fronte. Da’ parole al dolore. La pena che non parla sussurra al cuore affranto e gli ordina di spezzarsi. Non bisogna mai stare soli, nel dolore, ma avere qualcuno disposto ad ascoltarci. [-]