Il ragazzo della Giudecca

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Un film incredibilmente sottovalutato Valutazione 4 stelle su cinque

di enzo70


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sabato 14 maggio 2016

Un neomelodico in carcere è una notizia che piace all’opinione pubblica; un innocente assolto dopo essere stato in carcere perché il fatto non sussiste non è, semplicemente, una notizia. E così è accaduto per il cantante siciliano Carmelo Zappulla arrestato per essere il mandante di un omicidio che ha vissuto un’odissea giudiziaria che si è conclusa con un’assoluzione. A vedere questo film eravamo in cinque, e dico cinque, venerdì sera; e non era un cinema di paese, ma un multisala napoletano; il che rappresenta il livello di attenzione su un film che, se non altro, per il valore sociale dovrebbe destare attenzione. E passiamo al film, con un cast di alto livello, lo stesso Zappulla che interpreta se stesso, Giancarlo Giannini che prende le parti del giudice delle indagini preliminari, Tony Sperandeo il procuratore, un grandissimo Luigi Diberti che prende le parti della difesa e Franco Nero nelle vesti di un detenuto condannato alla fine pena mai. La storia di Zappulla è incredibile, per quanto usuale nel nostro sistema giudiziario, in cui i valori della difesa sono stati schiacciati nel gioco del giustizialismo ad effetto di cui si fanno perfetti interpreti Sperandeo e l’improbabile Bracco, il poliziotto, in ruoli che ricordano quelli del gatto e la volpe. Mentre quei due giocano alla ricerca delle personali missioni di personali giustizie, la gente sta in carcere, colpevole o innocente, fa lo stesso. Purtroppo il regista indugia nel consueto vizio di un certo cinema italiano e cerca l’effetto artistico con inutili sovrastrutture, scene ridondanti che influenzano la linearità del ritmo narrativo. Anche perché la storia di Zappulla è quella di un uomo semplice, un cantante, come dice lui stesso, e per fare cultura non c’è bisogno di paroloni ma di sostanza; ma una citazione a parte merita l’arringa finale del difensore, un manifesto del garantismo non come sistema di tutela degli imputati o anche dei colpevoli, ma di garanzia di libertà, per ognuno. Un discorso pieno di contenuti in cui Bergamo indovina la scelta con un’inquadratura fissa di primo piano che ricorda quello di Al Pacino in scent of woman. Un film che avrebbe meritato, nonostante le notevoli lacune della regia, una maggiore attenzione nel dibattito politico e culturale di questo stanco Paese. Rimane un abbraccio a Zappulla e a tutti quelli che, decidono che l’unico medo per combattere contro la mala giustizia è ricordarsi che il principale valore dell’uomo è il rispetto della propria dignità. 

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