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rescart
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mercoledì 14 marzo 2012
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piantagione di oppio…dei popoli
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La profezia di Karl Marx trova per ironia della storia una sua realizzazione, anche fuor di metafora, nella guerra dell’occidente all’Afghanistan talebano, così fondamentalista da essere scomodo per lo stesso Islam, sempre più accentrato nell’opulento medio oriente dei petroldollari. Tutto è giustificato in nome dell’oppio dei popoli: cedere il walkman a una guardia di frontiera senza chiedere il permesso al legittimo proprietario, rinchiudere al buio in un container degli esseri umani per diversi giorni senza preoccuparsi di farli uscire, rubare la borsetta di una malcapitata turista in Italia per avere subito i soldi necessari a comprare un costoso biglietto ferroviario, trovare conforto per la morte del compagno di viaggio pregando con trasporto nella Moschea di Londra.
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La profezia di Karl Marx trova per ironia della storia una sua realizzazione, anche fuor di metafora, nella guerra dell’occidente all’Afghanistan talebano, così fondamentalista da essere scomodo per lo stesso Islam, sempre più accentrato nell’opulento medio oriente dei petroldollari. Tutto è giustificato in nome dell’oppio dei popoli: cedere il walkman a una guardia di frontiera senza chiedere il permesso al legittimo proprietario, rinchiudere al buio in un container degli esseri umani per diversi giorni senza preoccuparsi di farli uscire, rubare la borsetta di una malcapitata turista in Italia per avere subito i soldi necessari a comprare un costoso biglietto ferroviario, trovare conforto per la morte del compagno di viaggio pregando con trasporto nella Moschea di Londra. L’oppio dei popoli potrà forse ritardare, ma non impedire il fallimento di una missione militare il cui esito prima o poi sarò lo stesso dell’invasione sovietica. Facile profezia questa, meno quella di Marx. Ma se “niente di nuovo sotto il sole” perché la storia è destinata a ripetersi, anche se con tempi che possono variare a seconda della presenza o meno di effetti stupefacenti, che fine farà l’ideologia comunista da lui formulata e prevista? Neanche gli storici seguaci di Marx oggi sono in grado di fare previsioni, forse per paura che la loro realizzazione possa differire troppo dall’idea originale.
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ondacinema
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domenica 21 febbraio 2010
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raro film sul viaggio di un immigrato clandestino
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L'incredibile storia vera è quella di Jamal, un giovanissimo rifugiato afghano che, dal campo profughi pakistano a Peshawar, decide di spendere l'unica ricchezza di cui dispone - la conoscenza della lingua inglese - per tentare di raggiungere assieme a suo cugino Enayatullah la Gran Bretagna.
Il finto reportage è introdotto (in italiano, mentre per il resto della pellicola il regista ha imposto in tutto il mondo la versione originale sottotitolata) da un narratore esterno, che sciorina le impressionanti cifre annuali del traffico di uomini, una delle industrie più fiorenti in assoluto, per poi renderci partecipi dell'odissea del protagonista, il quale trova difficoltà anche soltanto ad attraversare la prima frontiera (quella iraniana, battutissima dagli afghani), ma non demorde, e tramite qualsiasi mezzo di trasporto terrestre e marino (quelli aerei sono troppo costosi), raggiunge la Turchia, l'Italia (da togliere il fiato lo sbarco a Trieste) e la Francia, dove tira a campare con piccoli lavori saltuari, poi finalmente Londra, dove trova conforto e memoria delle sue origini in una moschea.
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L'incredibile storia vera è quella di Jamal, un giovanissimo rifugiato afghano che, dal campo profughi pakistano a Peshawar, decide di spendere l'unica ricchezza di cui dispone - la conoscenza della lingua inglese - per tentare di raggiungere assieme a suo cugino Enayatullah la Gran Bretagna.
Il finto reportage è introdotto (in italiano, mentre per il resto della pellicola il regista ha imposto in tutto il mondo la versione originale sottotitolata) da un narratore esterno, che sciorina le impressionanti cifre annuali del traffico di uomini, una delle industrie più fiorenti in assoluto, per poi renderci partecipi dell'odissea del protagonista, il quale trova difficoltà anche soltanto ad attraversare la prima frontiera (quella iraniana, battutissima dagli afghani), ma non demorde, e tramite qualsiasi mezzo di trasporto terrestre e marino (quelli aerei sono troppo costosi), raggiunge la Turchia, l'Italia (da togliere il fiato lo sbarco a Trieste) e la Francia, dove tira a campare con piccoli lavori saltuari, poi finalmente Londra, dove trova conforto e memoria delle sue origini in una moschea.
Girato in digitale, con quell'effetto-videogioco nelle riprese notturne cui dalla Prima guerra del Golfo siamo abituati, può sembrare un film fasullo; ma è il Winterbottom più autentico, anche se il senso di costante provvisorietà dell'esistenza, lo spaesamento geografico, culturale e sociale, l'impossibilità per Jamal di mettere radici, fanno sì che, alla fine, del film resti un po' poco. Che sia difficile raccontare dettagliatamente ciò che si è appena visto. Tuttavia non è questo, bensì, verosimilmente, il nome del regista, ad aver causato le stroncature quasi unanimi della critica più militante. Ma, in questo caso, aveva ragione la giuria del Festival di Berlino, che ha giustamente premiato il film con L'Orso d'oro.
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eva contro eva
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domenica 13 gennaio 2008
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fittante e il "cheap sentiment"
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è vero, di primo acchito è un comunissimo esempio di "pacco" all inclusive: cheap sentiment a fiumi. Il solito scorcio dickensiano strappalacrime sui poveri orfani di guerra (profughi afghani, non pakistani!). Eppure, al di là dell'impatto emotivo decisamente studiato, non si può non riflettere sul fatto che, caspita, togliete la colonna sonora e vi rimarrà una rappresentazione fedele di quello che accade continuamente sotto gli occhi di questa nostra "civilissima" Europa. Forse un orso d'oro è troppo? Forse; o forse è solo l'occasione per bombardare le nostre coscienze assopite e lo schermo, in questo, è sempre efficace.
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beefheart
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lunedì 25 dicembre 2006
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istruttivo
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Buon film documentaristico. Perfettamente realistico e sapientemente girato, inizia lentamente e si sviluppa in crescendo; il tutto, scandito da una moltitudine di idiomi, paesaggi e personaggi diversi. Narrativamente anche stavolta il regista non ci va leggero. Istruttivo.
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lucky
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domenica 21 dicembre 2003
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un film di alto valore sociale ed umanitario
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IN THIS WORLD di MICHAEL WINTERBOTTOM, girato con attori presi dalla strada e con una videocamera digitale a luce naturale, tratta di due cugini pakistani che decidono di intraprendere un viaggio dal confine con l’Afganistan fino in Inghilterra aiutati dai soliti equivoci trafficanti. Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2003, girato in Pakistan, Iran,Turchia, Italia, Francia ed Inghilterra, il film è pressoché privo di sceneggiatura risultando quasi tutto improvvisato.
Per quanto mi riguarda, sono nettamente contrario ai film in digitale a causa della loro bassa qualità tecnica (e purtroppo nei festival stanno proliferando) però debbo riconoscere che essi offrono un senso di immediatezza, di partecipazione alla scena che una pellicola normale non sempre riesce ad offrire; tornando a IN THIS WORLD, direi per concludere che si tratta di qualcosa a metà strada tra fiction e documentario e ad ogni modo la sua vittoria al Festival di Berlino mi lascia alquanto perplesso in quanto si è tenuto conto dell’ alto valore sociale ed umanitario di questo istant-movie in digitale, come qualcuno lo ha definito,senza però considerare la latitanza della qualità artistica.
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IN THIS WORLD di MICHAEL WINTERBOTTOM, girato con attori presi dalla strada e con una videocamera digitale a luce naturale, tratta di due cugini pakistani che decidono di intraprendere un viaggio dal confine con l’Afganistan fino in Inghilterra aiutati dai soliti equivoci trafficanti. Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2003, girato in Pakistan, Iran,Turchia, Italia, Francia ed Inghilterra, il film è pressoché privo di sceneggiatura risultando quasi tutto improvvisato.
Per quanto mi riguarda, sono nettamente contrario ai film in digitale a causa della loro bassa qualità tecnica (e purtroppo nei festival stanno proliferando) però debbo riconoscere che essi offrono un senso di immediatezza, di partecipazione alla scena che una pellicola normale non sempre riesce ad offrire; tornando a IN THIS WORLD, direi per concludere che si tratta di qualcosa a metà strada tra fiction e documentario e ad ogni modo la sua vittoria al Festival di Berlino mi lascia alquanto perplesso in quanto si è tenuto conto dell’ alto valore sociale ed umanitario di questo istant-movie in digitale, come qualcuno lo ha definito,senza però considerare la latitanza della qualità artistica.
Ma, si sa, un premio ad un festival così importante dovrebbe essere assegnato ad un’opera che riunisca in sé una perfetta sintesi di forma e contenuto, ma questa è un’altra storia.
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