Maurizio Nichetti fa ancora “splash”, e va diritto al bersaglio, centrandolo. Questa volta mescolando le figure umane con i disegni animati, solo dopo Disney, però, perché posso personalmente garantirvi che l’idea, e i suoi primi esperimenti in questo senso, risalgono all’83, e dunque prima di Roger Rabbit. Un’idea fiorita di gags, costruita con furbizia e, contemporaneamente, con un cordialissimo candore, quello tipico di tutti i precedenti film di Nichetti, da Ratataplan, a Ho fatto splash, allo splendido Ladri di saponette.
Oggi, qui, l’amore è in primo piano: ne è preda un timido “rumorista” di disegni animati che, in società con il fratello, passa la vita a fabbricare le colonne sonore dei vecchi cartoons in bianco e nero, per rimetterli poi sul mercato. Martina, la ragazza di cui si innamora, è l’opposto di lui anche se il suo mestiere non è meno curioso del suo; si definisce “assistente sociale”, in realtà, si presta, a pagamento e con molta diligenza professionale, ad assecondare le più buffe aberrazioni di persone in apparenza serie che si sbizzarriscono a spalmarla di crema, o si fingono morte di fronte a lei con attacchi di necrofilia o si limitano a vederla deambulare, nuda e casta, su e giù dal bagno alla cucina. Quando scocca fra i due l’ora dei sentimenti, Martina, esuberante com’è, vi aderisce con entusiasmo, Maurizio (il rumorista, interpretato da Nichetti, si chiama ovviamente come lui), entra invece subito in crisi: proprio a causa delle sue timidezze e dell’inesperienza totale in quel campo. E così si “ammala”, nel senso che, somatizzando quel suo inalberarsi di fronte ad un amore che pure lo attrae, si trasforma a poco a poco in uno di quei tanti disegni animati in mezzo ai quali vive tutto il giorno, diventando una specie di Paperino piccolissimo circondato spesso anche da qualche anatroccolo sfuggito ad un cartoon. Prima, com’è chiaro, se ne spaventa e cerca di nascondere a Martina in tutti i modi quella “mostruosità” stravagante, poi si accetta com’è nella speranza di essere accettato e difatti Martina, come nella favola della Bella e la bestia (ma al contrario), lo accetterà. Lieto fine. Un giochino ghiotto. Intanto all’inizio, quando Nichetti, con quella sua gentilezza astuta, ci rappresenta prima il lavoro maniacale di lui, sempre perso nella ricerca di rumori nuovi (con il contrappunto continuo dei vecchi disegni animati) e poi le strampalate prestazioni professionali di lei alle prese con una galleria di deviazioni che, pur tutte lubriche, son sempre proposte con ironia e con tatto, quasi nelle stesse cifre, ma senza zolfo, né perfidie, di Bella di giorno di Buñuel. Un po’ meno solido, ma egualmente vivace il seguito, quando alla realtà si aggiungono i cartoons e il protagonista ormai, pur a contatto con una donna vera, si muove, disegnato dal suo amico, complice e coregista Guido Manuli, come una figurina di Disney, con gli stessi impacci e con lo stesso brio. Qui, forse, dal punto di vista narrativo, sarebbe stata desiderabile una maggiore compiutezza nei significati e nei risvolti, ad impedire che tutto, alla fine, si risolvesse solo in un’immensa gag. Ma anche così il film lo si accoglie con gioiosa simpatia: per le sue situazioni vivaci, i suoi dialoghi essenziali ma sempre colorati, i suoi personaggi, persino quelli di contorno, disegnati tutti con estri vitalissimi.
Di Nichetti interprete ormai si è detto da sempre tutto il bene possibile, qui è anche più comico e, nello stesso tempo, più dimesso, più umile e più accattivante del solito, erede in certi momenti addirittura del grande Buster Keaton (con un tocco alla Groucho Marx). Al suo fianco Angela Finocchiaro non potrebbe essere migliore: sa ridere e far ridere, sfodera cipigli, ora tende al grottesco ora alla commedia fine, provoca come una vamp, tuba come una colomba, non è una rivelazione, perché le sue virtù si conoscevano, ma è di certo un’attrice completa: che ogni giorno dà di più.
Da Il Tempo, 15 marzo 1991
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|