carloalberto
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giovedì 18 novembre 2021
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un esemplare unico
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Di questa pellicola del 1960 di Powell ciò che colpisce, al primo impatto visivo, sono i colori accesi, che, più vividi sullo sfondo, rendono quasi tridimensionali le figure dei personaggi in primo piano.
Dalle poche riprese in esterni agli arredi delle botteghe e degli appartamenti, finanche nei libri esposti sullo scaffale nello studio del protagonista, il film è tutto una esplosione di colori. Il rosso vivido delle poltrone, dei vestiti, dei costumi delle modelle delle foto osè, suggestivamente richiama il colore del sangue, che non si vede quasi mai, richiamato, tuttavia, indirettamente per associazione cromatica nella mente dello spettatore. C’è una valorizzazione esasperata del cromatismo che influenzerà più tardi lo stile di Wes Anderson.
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Di questa pellicola del 1960 di Powell ciò che colpisce, al primo impatto visivo, sono i colori accesi, che, più vividi sullo sfondo, rendono quasi tridimensionali le figure dei personaggi in primo piano.
Dalle poche riprese in esterni agli arredi delle botteghe e degli appartamenti, finanche nei libri esposti sullo scaffale nello studio del protagonista, il film è tutto una esplosione di colori. Il rosso vivido delle poltrone, dei vestiti, dei costumi delle modelle delle foto osè, suggestivamente richiama il colore del sangue, che non si vede quasi mai, richiamato, tuttavia, indirettamente per associazione cromatica nella mente dello spettatore. C’è una valorizzazione esasperata del cromatismo che influenzerà più tardi lo stile di Wes Anderson.
Powell costruisce un film sulla cinefilia come passione estrema sull’esile trama di un thriller psicologico, in cui la follia omicida del serial killer nasce dalle sevizie subite da un padre cinico, tema peraltro speculare a quello di Psyco, che Hitchcock girava nello stesso anno in America.
Alla smania di riprendere volti di donne e forse più in generale alla mania di filmare ogni cosa, sembra suggerire il regista, che non a caso compare nella parte del padre del protagonista in un filmino in superotto, non è del tutto estranea la degenerazione della scopofilia.
La realtà è inaccessibile in modo diretto. Tra il protagonista e le persone si frappone il mezzo, la cinepresa come scudo interposto a protezione dal mondo esterno e come prolungamento fallico, simboleggiato da uno dei tre piedi della macchina da presa che sfoderandosi rivela la lama.
I toni della commedia nera, venata da humor inglese, evidente nelle scene con il set dove si sta girando un film, forse una commedia leggera, con un’attricetta oca ed un regista isterico, si alternano a quelli del classico thriller, con l’assassino psicopatico che terrorizza le sue vittime prima di sopprimerle, sfociando in un finale drammatico ed alquanto patetico, che aggiunge alla pellicola un carattere kitsch che non guasta, ma che completa questo film anomalo, facendone un esemplare unico ed inclassificabile in un solo genere.
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onufrio
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lunedì 21 gennaio 2019
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dietro la cinepresa
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Mark è ossessionato dalla cinepresa, riprende ogni cosa, e vi lavora 24 ore al giorno, alla ricerca di attimi particolari, la sua ricerca si spingerà oltre, uccidendo varie donne mentre le riprende. La sua malsana ossessione trova radici sin da piccolo, quando il padre, amante anch'egli della cinepresa, nonchè scienziato, "usava" il figlio come cavia umana per i suoi esperimenti. Thriller dai ritmi lenti, a tratti noioso.
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il befe
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domenica 22 febbraio 2015
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ce ne fossero
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il befe
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domenica 22 febbraio 2015
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bel film
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paride86
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lunedì 19 gennaio 2009
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molto bello
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Gran bel film che racconta e indaga la psicologia di un assassino vouyeur, morboso e disturbato. Sicuramente la pellicola sente il peso degli anni, però l'originalità dell'idea e la genialità di alcune trovate stilistiche e registiche ne fanno una piccola perla del cinema.
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franco manontroppo
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giovedì 28 febbraio 2008
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precursore
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Nel protagonista più che Voyeurismo c'e'sadismo.
Un grande film che non faccio fatica a credere quanto non sia stato capito all'epoca. Non è un un horror, non vi sono mostri o sesso eppure la schizofrenia di Mark disturba ancora oggi che ormai di film se ne son visti in tutte le salse. Era il 1960 e un film dove un serial killer riprende i propri omicidi e la storia di un padre dagli esperimenti traumautici per il figlio era sicuramente TROPPO "avanti" per essere totalmente compreso dai critici.
Michael Powell ha dimostrato una modernità ed una capacità di capire le perversioni che (purtroppo) ci ritroviamo ai giorni nostri straordinaria e sconvolgente. Un VERO cult-movie
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(di dita-di-rose)
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m.b.
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sabato 2 settembre 2006
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lobotomie passionali
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Perversione o celebrazione della castità? Bieco voyeurismo o esaltazione della visività? Sono quesiti digitalizzati e scolpiti sulla macchina da presa della superficialità cinematografica, quasi a volerne sottolineare la precarietà culturale. Il frustrato ambito psicologico in cui si dibatte il protagonista è corredato da ambientazioni gotico-futuriste in cui pullulano gli striminziti fantasmi della repressione infantile. A nulla valgono le continue reminescenze mediatiche, unite alle lobotomie passionali, se non sono evacuate da incisivi e trincerati manierismi del parossismo psicotico. Infine, tutto l'apparato sedimentario crolla implacabilmente al minimo sotterfugio sentimentale, quasi a sottolinearne l'implacabile fragilità emotiva.
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