Green Border

 Avevo del tutto dimenticato a chi avessero assegnato il premio speciale della giuria al festival di Venezia scorso. Ho trovato questo film in programmazione in un cinema della mia città, ho constatato che il contenuto era importante e sono andata a vederlo. E’ una visione che non può lasciare indifferenti. Comunque la si pensi sull’immigrazione. Scene brutali, scene allucinanti, scene che fai fatica a sostenere. Eppure cosa c’è di nuovo? Cosa c’è che non abbiamo già sentito e visto? Forse di questa parte di immigrazione sul confine tra Bielorussia e Polonia a noi arrivano echi minori, ma non è molto diversa da quella che riguarda le coste del Mediterraneo. Guardare questo film è diverso dal frettoloso ascolto di una notizia in tv. Ti obbliga a fermarti a pensare alle singole vite di quelle persone che mettono in gioco la loro esistenza e quella dei loro bambini. Nulla può giustificare il trattamento disumano che spesso (o sempre) subiscono. La regista ci obbliga a ritrovare dentro di noi il sentimento della pietà nel significato più alto che aveva nella lingua latina. Questa pietà è la forza che muove i volontari e i singoli cittadini che vediamo nel film andare in aiuto diretto dei migranti, ed è quella che viene suggerita di esercitare allo spettatore anche là dove non si può fare nulla in prima persona. Non comprendo (o forse lo comprendo benissimo) come mai io non stia vedendo pubblicizzare il film della Holland da nessuna parte. Immensi megafoni per lungometraggi di cui possiamo fare benissimo a meno e nulla per questo che riterrei indispensabile vedessero tutti, a partire dai ragazzi delle scuole superiori.