I cavalieri che fecero l'impresa

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Un film di Pupi Avati. Con Edward Furlong, Marco Leonardi, Raoul Bova, Thomas Kretschmann, Stanislas Merhar.
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Avventura, Ratings: Kids+16, durata 147 min. - Italia 2001. - 20th Century Fox Italia uscita venerdì 6 aprile 2001. MYMONETRO I cavalieri che fecero l'impresa * * 1/2 - - valutazione media: 2,82 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

Finalmente il cinema italiano ha deciso di sorprenderci. Mentre i 30/40enni ricominciano a parlarci in maniera seria del presente, i migliori registi delle generazioni precedenti volgono lo sguardo al passato, alla tradizione del film in costume italiano, fiorente nel muto e ripresa nel Ventennio (con risultati superiori all'ovvio scopo propagandistico). Se l'imminente Il mestiere delle armi di Olmi evoca Condottieri (1937) di Luis Trenker, I cavalieri che fecero l'impresa è piuttosto dalla parte del blasettiano La corona di ferro (1941). Muove dalla mitologia del cristianesimo, ma la racconta in modo eclettico, sposando epica e tradizione picaresca, fiaba e western. L'azione si svolge nel 1271, all'indomani della settima crociata. I cavalieri dei titolo (la sola cosa infelice del film: oggi, parole come "cavaliere" e "impresa" fanno venire in mente tutt'altro) sono cinque: Simon (Edward Furlong), l'inglese depositario del segreto della Sindone; Jean (Stanislas Merhar), che ha seguito Re Luigi a Tunisi; il soldato di ventura Vanni (Thomas Kretschmann); Ranieri (Marco Leonardi), nobile riciclato in bandito; il fabbro Giacomo (Raoul Bova), artefice di spade imbattibili ma posseduto dal demonio. Incontratisi in strane circostanze (la presentazione dei personaggi ricalca un po' quella dei Sette samurai o dei Magnifici sette), i cinque avventurieri solcano il mare alla ricerca della Sacra Sindone, che è in possesso di alcuni cavalieri felloni. Pupi Avati coltiva una predilezione per il Medioevo, come ha già dimostrato con Magnificat. Se quello era un film sommesso, però, nello spirito della microstoria alla Braudel, I cavalieri che fecero l'impresa è invece un kolossal con combattimenti e scene di grande respiro. I riferimenti di Avati vanno dal ciclo di Re Artù (la Sindone come il Graal) alla "heroic fantasy", compresa una spruzzatina horror. Di quando in quando il regista entra nel cuore del fantastico, da sempre uno dei suoi generi prediletti. Sorprende la capacità di dirigere scene d'azione, di coordinare un cast multinazionale e di creare una leggenda: specie in un cinema come il nostro, da decenni refrattario a questo tipo d'impresa.
Da La Repubblica, 6 aprile 2001

di Roberto Nepoti, 6 aprile 2001

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