I figli della violenza |
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Un film di Luis Buñuel.
Con Miguel Inclan, Estela Inda, Alfonso Mejia, Roberto Cobo, Alma Delia Fuentes
Titolo originale Los olvidados.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 88 min.
- Messico 1950.
- Cineteca di Bologna
MYMONETRO
I figli della violenza
valutazione media:
3,56
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Crudissima realtàdi Noia1Feedback: 15799 | altri commenti e recensioni di Noia1 |
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domenica 17 maggio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Pedro e Jaibo, due tasselli nel cui sfondo si diramano i miseri bassifondi di Città del Messico. Uno senza padre, l’altro senza famiglia, lotteranno fino allo strenuo per sopravvivere. Un film di sessant’anni fa eppure ancora inarrivabile, temi paradossalmente attuali qui però affrontati con onestà e per onestà intendo che niente è lasciato, tutto, c’è tutto, tutta la realtà di un’epoca. Non tanto critica sociale quanto più poveri diavoli alle prese con la povertà più atroce, come verrà mostrato poi, ciascuno di essi (malgrado tutto) ha i propri lati oscuri, lati più umani, poveri miserabili con una profondità, con sogni, con principi, tutte caratteristiche flebili rispetto agli eventi contro i quali i protagonisti saranno costretti a scontrarsi mettendo in atto tutta la loro meschinità. Insomma, qui viene descritto un periodo storico, ci si rende ben conto però che, come una volta, ancora oggi persone si comportano così, uno spunto per riflettere, tutti siamo bestie, tutti abbiamo un’anima, come i protagonisti: Jaibo, senza nessuno a cui rendere conto, fa ciò che gli pare avendo la sua giustizia in quanto essere umano nell’onirico finale, solo lì si ricorderà di quanto sia sfortunato; Pedro, spinto dalla propria condizione alle scorrerie e poi dall’amore per la madre ad una sofferta redenzione. Le umiliazioni più terribili, il sorriso sul volto, i ragazzi spinti a derubare per sopravvivere, senza uno straccio di principio, vivono qualsiasi azione indifferentemente a quanto sia positiva o negativa, sono i cattivi. Poi, procedendo, ci si rende conto che sono solo disperati, non ci sono buoni o cattivi se non la povertà stessa, come dirà il capo dell’istituto dove Pedro sarà internato. Luis Buňuel l’avevo già sentito per Un cane andaluso, in effetti le due scene oniriche sono davvero azzeccate, certo non sapevo quanto fosse immenso, travolgente, appassionante. Una vicenda avvincente intrisa di quel senso di disperazione che non riguarda i supereroi pronti a difendere la terra dal cattivo di turno, riguarda le persone comuni, nazi ancora peggio, riguarda chi proprio non ha niente, chi fa i salti mortali per mangiare e il giorno dopo deve ributtarsi nella giungla, riguarda chi della propria vita se ne fa poco e si fa gran pochi problemi a rischiarla quotidianamente. Il finale amarissimo lo diventa ancora di più con la consapevolezza che ciò raccontato è una cronaca.
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