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127illuminati
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venerdì 2 novembre 2012
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questa cosa è un film?
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Da mesi non mi capitava di dovermi sforzare per completare la visione, un "film" (se così si può definire) orrendo, noioso, privo di senso, fastidioso nella recitazione, vuoto nei contenuti.
Gli avete dato anche 3 stelle, è incredibile.
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nigel mansell
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venerdì 6 aprile 2012
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di bellocchio,
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Un film per chi ama il cinema fatto da chi ama il cinema. Un film che potrebbe anche non essere un film, ma un diario, degli appunti sparsi raccolti, un puzzle di vecchi lavori girato in epoche diverse con stralci anche di opere più famose. Tra l'altro possiamo osservare la crescita dei figli vista attraverso la lente della cinepresa di Bellocchio.
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epidemic
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giovedì 13 ottobre 2011
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opera per fanatici del regista...molto personale!!
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Quello che arriva allo spettatore è una serie di montaggi lunghi una vita, regie diverse che scandiscono in modo ben preciso lo scorrere del film e una storia famigliare forse troppo personale per essere portata sullo schermo. Chi ci vuole vedere un capolavoro forse è troppo ottenebrato dal nome che firma la regia perché in realtà non solo molti attori non sono professionisti (e qui vabbè...scelta del regista) e parenti dello stesso Bellocchio ma la stessa storia di distacco dal paese natale non riesce a pieno e non colma delle lacunose parti di interni molto vuote. Quello che penso è che doveva restare una pellicola da esibire magari in una retrospettiva, come opera non ufficiale, allora forse avrebbe avuto un senso.
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Quello che arriva allo spettatore è una serie di montaggi lunghi una vita, regie diverse che scandiscono in modo ben preciso lo scorrere del film e una storia famigliare forse troppo personale per essere portata sullo schermo. Chi ci vuole vedere un capolavoro forse è troppo ottenebrato dal nome che firma la regia perché in realtà non solo molti attori non sono professionisti (e qui vabbè...scelta del regista) e parenti dello stesso Bellocchio ma la stessa storia di distacco dal paese natale non riesce a pieno e non colma delle lacunose parti di interni molto vuote. Quello che penso è che doveva restare una pellicola da esibire magari in una retrospettiva, come opera non ufficiale, allora forse avrebbe avuto un senso...come film da sala da cinema forse no. va bene che i finanziamenti gli arrivano ma questo non mi è sembrato un buon uso....1 stella e mezzo...ne dò 1 per abbassare la media che è ancora troppo alta
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simona proietti
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mercoledì 20 luglio 2011
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filmini amatoriali
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Più che cortometraggi da proiettare al cinema, questi episodi del tutto personali di Bellocchio, sembrano dei filmini registrati così... giusto per divertirsi, per sperimentare. Peccato perchè da un mostro sacro come lui, ci si aspettava qualcosa in più Non occorre per forza essere in scena... se non si ha nulla da dire, si può benissimo evitare di apparire, di proporre i prorpi lavori.
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(di epidemic)
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astromelia
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martedì 12 luglio 2011
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memorie di un interno
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bisognerebbe capire se questa trasposizione memoriale corrisponde al vissuto vero del regista,cioè di questi film che evocano il passato o presente di qualunque di noi ,racconti di vita amari sullo sfondo di pittoresche cittadine che qui comunque non sono raffigurate,tendendo il racconto sui protagonisti,non ho capito bene l'intermezzo con la rorwacher a che si riferisse il personaggio nell'ambito familiare,ritengo che questi film siano girati più per la compiacenza dei registi che il vero interesse del pubblico,tutti abbiamo una storia e tante cose da raccontare,quello che ci manca è una macchina da presa....
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anonima
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sabato 16 aprile 2011
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brutto e mal realizzato
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Raramente ho visto un film così brutto e noioso. La vicenda è ridotta ai minimi termini, frammentata, slegata e con molti punti irrisolti e inspiegabilmente oscuri. In genere, se non c'è una storia ricca di spunti, un buon regista cerca di sviluppare gli aspetti caratteriali e psicologici dei personaggi. Qui non c'è nemmeno questo! E' un film costruito sul nulla, su pochi elementi di sconcertante banalità. E' pieno di dettagli inutili e francamente soporiferi. L'episodio della scuola, poi, non si capisce cosa c'entri con tutto il resto. Peraltro, forse sarebbe stato opportuno informarsi su come funziona uno scrutinio di fine anno scolastico, perché la situazione è raccontata con una gran quantità di errori madornali! Va bene che la scuola funziona male, ma lo scrutinio di una classe diviso su due giorni non si è mai visto! Tutto l'episodio è assolutamente improbabile e si vede che l'autore non ne sa e non ne capisce nulla!E poi, ormai, quasi tutte le scuole hanno sistemi informatizzati.
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Raramente ho visto un film così brutto e noioso. La vicenda è ridotta ai minimi termini, frammentata, slegata e con molti punti irrisolti e inspiegabilmente oscuri. In genere, se non c'è una storia ricca di spunti, un buon regista cerca di sviluppare gli aspetti caratteriali e psicologici dei personaggi. Qui non c'è nemmeno questo! E' un film costruito sul nulla, su pochi elementi di sconcertante banalità. E' pieno di dettagli inutili e francamente soporiferi. L'episodio della scuola, poi, non si capisce cosa c'entri con tutto il resto. Peraltro, forse sarebbe stato opportuno informarsi su come funziona uno scrutinio di fine anno scolastico, perché la situazione è raccontata con una gran quantità di errori madornali! Va bene che la scuola funziona male, ma lo scrutinio di una classe diviso su due giorni non si è mai visto! Tutto l'episodio è assolutamente improbabile e si vede che l'autore non ne sa e non ne capisce nulla!E poi, ormai, quasi tutte le scuole hanno sistemi informatizzati. Come diceva un vecchio spot pubblicitario: "Se le cose nun le sai, salle!". Sul piano tecnico, poi, sembra il filmino amatoriale di un dilettante che cattura qualche episodio familiare. Sgranato, traballante, con primi piani mal riusciti. Non c'è nemmeno un'immagine decente. Insomma, volendo malignare, sembra che il regista abbia voluto far lavorare i suoi parenti (basta guardare i cognomi della maggior parte degli attori!). Davvero pessimo e pretenzioso.
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vince mas
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martedì 5 aprile 2011
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bellocchio e il pantano familiare
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Bellocchio prende il telespettatore e lo schiaccia con il viso contro la camera da presa. Osserva da vicino, non perderti nemmeno una grinza del volto, dice. Inquadrature ravvicinatissime, quasi a togliere il fiato. Volti pittorici, sgranati dalla luce. L'evoluzione di una famiglia che si arrampica lungo il tempo con la pesantezza di un dolore che sembra sempre in agguato ma che poi evapora tra i ripetitivi gesti della vicinanza di sangue. La famiglia come luogo dell'anima cui fare sempre ritorno. Bobbio il luogo della famiglia dove è rimasta impigliata l'anima dei protagonisti. Paese-Sole che impone al sua legge di gravità ai pianeti Giorgio e Sara, per natura portati a dare sfogo all'innata forza centripeta del loro presunto talento.
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Bellocchio prende il telespettatore e lo schiaccia con il viso contro la camera da presa. Osserva da vicino, non perderti nemmeno una grinza del volto, dice. Inquadrature ravvicinatissime, quasi a togliere il fiato. Volti pittorici, sgranati dalla luce. L'evoluzione di una famiglia che si arrampica lungo il tempo con la pesantezza di un dolore che sembra sempre in agguato ma che poi evapora tra i ripetitivi gesti della vicinanza di sangue. La famiglia come luogo dell'anima cui fare sempre ritorno. Bobbio il luogo della famiglia dove è rimasta impigliata l'anima dei protagonisti. Paese-Sole che impone al sua legge di gravità ai pianeti Giorgio e Sara, per natura portati a dare sfogo all'innata forza centripeta del loro presunto talento.
Il satellite Elena, figlia a fatica, nipote a tempo determinato, nipote adottiva ad oltranza, che trova la sua traiettoria adolescenziale nel sorriso perlaceo della sua innocenza, che impara il segreto della vita volendo radici proprio dove mamma e zio cercano di reciderle. Bobbio, luogo acquatico grazie al Trebbia, liquido amniotico dove (ri)trovare e invocare lo swing della recitazione.
Sullo sfondo, costante, la roba. Case, cappelle, mutui, collane, anelli. Ancore precarie in mezzo al tempo che fu, che si sfarinano sotto i colpi della vita reclamando sacrifici sull'altare dei ricordi. Roba che mette a posto sentimenti, ispirazioni, sogni e finanche il seducente aldilà covato dalle zie e pensato fra i mattoni sicuri di una cappella. Le due sorelle zie sono le uniche ad accettare il destino per cui sono state comandate, scenario che non muta e che trova nei piccoli riti del quotidiano attimi di trascurabile infelicità. L'inquietudine di Giorgio e il dilemma di Sara bestemmiano in casa dell'abitudine, dove Elena si fa adolescente e matura saggezza. I ritorni sono sempre piccole sconfitte per chi non si accontenta delle vittorie, o presunte tali, raccolte lontane dagli occhi della propria famiglia. Le sconfitte, poi, fanno sempre rimbalzare all'indietro.
Fino al colpo di scena finale della scomparsa di Schicchi. Scomparso sotto al cilindro e ritornato all'essenza acquatica della vita. Il surreale si impone dove il reale ha stentato a prendere forma in una trama coerente. Il fil rouge sono i sentimenti che travalicano i fatti, i legami che superano le incomprensioni, l'affetto non affettato imposto dall'indissolubile vicinanza emotiva. La storia perde linearità, ma acquista in profondità grazie al richiamo ancestrale dei legami di sangue e alla dittatura emotiva dei luoghi della memoria.
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desgi
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lunedì 4 aprile 2011
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lo spessore dell'opaco
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Attraverso immagini sgranate, quasi mai vivide, si snoda la storia dei protagonisti sospesi tra realtà e aspirazioni, tra sensi di colpa e nevrotici atti di ribellione. Bellocchio sembra voler rappresentare il rifiuto del destino che pure ineluttabilmente è segnato. Esiste uno stadio dell'inconscio che lo prevede, lo presente, ma la vanità della ragione lo ricaccia indietro, lo mette a tacere. Mai completamente, però: il tormento della vita attanaglia tutti. Difficile districarsi, sopportare le perdite che non compensano le illusioni. Ci vorrebbe un amministratore a portare un po' di ordine nella vita, a indicare una qualche via d'uscita. E infatti, è proprio l'amministratore di famiglia, nella splendida metafora dell'uomo in frac che elegantemente esce di scena - e dalla vita - annegandosi nelle acque immacolate del fiume di Bobbio, ad ammonire che davanti a quel mistero del tempo che è la vita, all'uomo è concesso soltanto il coraggio della dignità.
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Attraverso immagini sgranate, quasi mai vivide, si snoda la storia dei protagonisti sospesi tra realtà e aspirazioni, tra sensi di colpa e nevrotici atti di ribellione. Bellocchio sembra voler rappresentare il rifiuto del destino che pure ineluttabilmente è segnato. Esiste uno stadio dell'inconscio che lo prevede, lo presente, ma la vanità della ragione lo ricaccia indietro, lo mette a tacere. Mai completamente, però: il tormento della vita attanaglia tutti. Difficile districarsi, sopportare le perdite che non compensano le illusioni. Ci vorrebbe un amministratore a portare un po' di ordine nella vita, a indicare una qualche via d'uscita. E infatti, è proprio l'amministratore di famiglia, nella splendida metafora dell'uomo in frac che elegantemente esce di scena - e dalla vita - annegandosi nelle acque immacolate del fiume di Bobbio, ad ammonire che davanti a quel mistero del tempo che è la vita, all'uomo è concesso soltanto il coraggio della dignità. Un film per certi versi struggente, poetico, che racconta il malessere della vita attraverso le impressioni psichiche dei personaggi, dal di dentro, in quell'inarrestabile corso della memoria nel tempo che costituisce la sostanza quanto mai fragile dell'esistenza.
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olgadik
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martedì 29 marzo 2011
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evviva il trebbia
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Siamo agli ultimi scampoli invernali e in un mare di commedie italiane discutibili o accettabili, emerge ancora qualche opera di sicuro interesse. Una di queste è Sorelle Mai, di Bellocchio, autore che sin dagli esordi (I pugni in tasca 1965) ho trovato stimolante e in continua crescita per film “sentiti” prima che pensati, con una vena tra il realistico e il poetico a volte inafferrabile, a volte affilata come un coltello. Quest’ultimo lavoro ci conduce in una atmosfera da laboratorio (è infatti anche frutto dei corsi di cinematografia da lui organizzati a Bobbio) e ci riporta alla famiglia, alla sua radice, al fiume Trebbia, presenza simbolica e riunificante del gruppo.
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Siamo agli ultimi scampoli invernali e in un mare di commedie italiane discutibili o accettabili, emerge ancora qualche opera di sicuro interesse. Una di queste è Sorelle Mai, di Bellocchio, autore che sin dagli esordi (I pugni in tasca 1965) ho trovato stimolante e in continua crescita per film “sentiti” prima che pensati, con una vena tra il realistico e il poetico a volte inafferrabile, a volte affilata come un coltello. Quest’ultimo lavoro ci conduce in una atmosfera da laboratorio (è infatti anche frutto dei corsi di cinematografia da lui organizzati a Bobbio) e ci riporta alla famiglia, alla sua radice, al fiume Trebbia, presenza simbolica e riunificante del gruppo. In quel lavacro dove vita, affetti, morte si intrecciano, i componenti del nido tenuto caldo da due anziane zie, dal vecchio e affettuoso amministratore di famiglia, dagli usi e dai riti della piccola comunità, ritornano i più giovani o crescono i più piccoli. Il racconto di questo film “per caso”, come lo definisce lo stesso regista, cucito insieme anno per anno dal 1999 al 2002 poi di seguito dal 2005 al 2008, senza l’angoscia di una scadenza, senza copione ma in farsi dietro la macchina da presa, senza produttore in vista, con pochi attori professionisti, nasce quindi strutturalmente frammentario, un po’ scucito, con salti che sembrano logici o di stile. Invece io penso che alla fine la bravura di Bellocchio ha saputo realizzare (a parte qualche vezzo di autore e di opera in fieri) un qualcosa di compatto che s’offre alla nostra comprensione e condivisione. Il nucleo aggregante di queste membra sparse è la difficoltà e insieme la necessità della relazione familiare e il modo diverso tra generazioni di vivere la culla delle origini. Essa può stare troppo stretta, fatta per essere lasciata o può essere il luogo dove si ritorna se i nostri smarrimenti adolescenziali durano troppo a lungo, forse tutta una vita. E ancora una casa, un fiume, la natura possono restare fermi e reiterati per tutta l’esistenza di chi rimane compreso in essi; infine possono diventar il rifugio caldo dove l’infanzia dimentica anche la scarsa presenza di genitori, sostituiti dagli anziani, dagli zii, dai paesani e sperimenta quindi lì la sua crescita. Il titolo del film deriva dal cognome delle due sorelle del regista che sono le vestali delle radici. Oltre a loro della famiglia Bellocchio troviamo come interpreti il figlio dell’autore Giorgio e la piccola Elena che all’ombra del giardino delle zie vive da piccolissima e poi sperimenta l’adolescenza. La casa de I pugni in tasca non è qui soltanto il posto da fuggire e contro cui ribellarsi; rimane l’esigenza della disobbedienza e della ricerca della propria libertà sofferta e difficile, ma spunta anche la riconciliazione. E’ tutto un andare e un tornare, vedi i personaggi di Giorgio e Sara, fratelli inquieti ma infine solidali. Non manca il ritrovarsi nel melodramma verdiano che punteggia molti episodi ed è sottinteso all’epilogo dell’amministratore amico, Gianni Schicchi. Tocca a lui, indossando il vecchio frac di Modugno, dare l’addio ai ricordi del passato, lasciandosi enfaticamente trasportare dall’acqua del fiume. Due parole infine sul linguaggio dell’opera con qualche eccesso di ombra e luci all’inizio e alla fine, ma sostanzialmente poetico. Di qui la scelta di sgranature che allontanano la realtà nel ricordo, dell’indistinta nebbiolina di molti fotogrammi, di alcuni inserti-lampo presi dal diario intimo personale o professionale di Bellochio. Insieme alla bellissima fotografia delle scene sul Trebbia che scorre veloce e in cui spesso si sciolgono dolori e contrasti, non mancano le immagini digitali, ultime nate, a sottolineare la dualità che percorre tutta la riflessione del maestro.
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