francesco2
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venerdì 14 maggio 2010
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ma la classe non è acqua
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Non ho visto, perché non ho avuto MAI l'occasione, "I re e la regina" di Despléchin:questo film ,quanto a distribuzione italiana, è stato più fortunato.Qualcuno maliziosamente potrebbe scrivere che è avvenuto perché il nostro si è convertito al cinema per signore.Non è detto si sbagli del tutto, ma viene da porsi maggiori domande riguardo il concetto di autore, tantopiù in relazione all'idea di" Cinema corale".Ciò che distingue Altman, uIoseliani ecc. è che "la loro immagine", al contempo, è di suo densa di significato, in quanto ci illumina su uno o più personaggi, e SI e CI riallaccia ad un contesto più generale, ad un messaggio o una situazione che il film descrive.Questo appare persino in "Gosford Park", considerato da qualcuno un Altman minore.
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Non ho visto, perché non ho avuto MAI l'occasione, "I re e la regina" di Despléchin:questo film ,quanto a distribuzione italiana, è stato più fortunato.Qualcuno maliziosamente potrebbe scrivere che è avvenuto perché il nostro si è convertito al cinema per signore.Non è detto si sbagli del tutto, ma viene da porsi maggiori domande riguardo il concetto di autore, tantopiù in relazione all'idea di" Cinema corale".Ciò che distingue Altman, uIoseliani ecc. è che "la loro immagine", al contempo, è di suo densa di significato, in quanto ci illumina su uno o più personaggi, e SI e CI riallaccia ad un contesto più generale, ad un messaggio o una situazione che il film descrive.Questo appare persino in "Gosford Park", considerato da qualcuno un Altman minore.
Si potrebbe ipotizzare che come (Paul Thomas)Anderson, nel suo “Magnolia”, è erede proprio di Altman, Despléchin, in un orizzonte più ampio dei vari Archibugi,Muccino &c., si ispiri a Chabrol, tanto teoricamente “Giallista”quanto nella pratica corrosivo e sottile esploratore di psicologie che, allo stesso tempo, è il primo a non giudicare.Una cosa che qui distingue l'allievo dal (Presunto)maestro è il creare paradossi, e non limitarsi a coglierli nella vita di tutti i giorni.
Molto gigioneschi, da questo punto di vista, sono i primi venti minuti(O mezz'ora), dove si racconta con un originale(?) stile grafico la vicenda dei Vuillard, che hanno prima vanamente generato due figli e che, in seguito, hanno assistito alla dissoluzione della coppia di figli vivi:trovata di gusto dubbio nella sostanza, come lo sono anche nella forma trovate come la litigata davanti i giudici ecc.Al di là di rapporti di odio-amore tra la Deneuve ed il figlio ed altre "Curiosità",il regista francese incasella con poca fantasia situazioni scarsamente fantasiose,come quella dello zio scapestrato che cerca di (ri?)stabilire un rapporto col nipote.La sua ironia semmai seduce di più, ma non sempre, una volta introdotto il personaggio della Devos,visibilmente annoiato, a cui i protagonisti chiedono cosa la spingano a restare.E'una fase dove il film si svolge più in interni, e proprio come in "Gosford Park" si illustra con apprezzabili risultati amarostici un "gruppo(di famiglia, in questo caso)in un (Parziale)in.ferno.
Il film riesce a farsi apprezzare quando mescola i due piani, regalandoci un'ironia un pò più attenta ad autentici paradossi:la casa diviene un luogo per spunti come la tragicomica recita dei bambini, che lo è quantopiù tantopiù "relazionata"agli stati d'animo degli adulti,e persino la vicenda del trapianto, in cui lo zio si sostituisce al nipote, figlio dell'odiata sorella,, col rischio di uccidere la madre, assume contorni un pò più curiosi.Affascinanti poi sono anche certi movimenti di macchina:si può non definire cinema di classe quello in cui la Deneuve e la Devos vanno a far compere, e poi, la notte di Natale, tutta la famiglia si reca a Messa?'E' qui ch emerge, nello stile oltre che nella sostanza, la "francesità" di Desplechin il cui film si gusta come una lieve coppa di champagne.
Battute come quella sull'ebrea che festeggia il natale senza festeggiar nulla, confermano impressione di un furbastro desideroso di ingraziarsi le giurie dei festival:ma la scena finale con la Consigny, nella sua pretenziosità riguardo il rapporto tra realtà e teatro, lascia la netta sensazione di un'idea di cinema, anche se non sempre ben delineata e desiderosa di "Giocare" con lo spettatore.
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teo '93
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sabato 19 settembre 2009
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odio e rancore nel gelido mèlo di desplechin
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Natale in casa Vuillard. Un girotondo di umanità che trova il suo luogo comune nel dolore e nella rabbia. Basta la trovata iniziale del film a far rabbrividire: solo l’urgenza di un trapianto di midollo osseo a causa di una malattia degenerativa è in grado di riunire una famiglia divisa e schiacciata da egoismi e rancori repressi e mai sopiti. I personaggi del corale mèlo di Arnaud Desplechin sono esseri fradici di odio, burattini di fragilissima natura, tra i quali si insinuano gli scheletri di un amore gracile che stenta a venire alla luce. Desplechin sembra non voler spettacolarizzare nulla districando la matassa di un soggetto così ambizioso, spezza la narrazione in brevi sequenze dissonanti, annulla il pathos e il coinvolgimento.
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Natale in casa Vuillard. Un girotondo di umanità che trova il suo luogo comune nel dolore e nella rabbia. Basta la trovata iniziale del film a far rabbrividire: solo l’urgenza di un trapianto di midollo osseo a causa di una malattia degenerativa è in grado di riunire una famiglia divisa e schiacciata da egoismi e rancori repressi e mai sopiti. I personaggi del corale mèlo di Arnaud Desplechin sono esseri fradici di odio, burattini di fragilissima natura, tra i quali si insinuano gli scheletri di un amore gracile che stenta a venire alla luce. Desplechin sembra non voler spettacolarizzare nulla districando la matassa di un soggetto così ambizioso, spezza la narrazione in brevi sequenze dissonanti, annulla il pathos e il coinvolgimento. La freddezza di “Racconto di Natale” è la sua peculiarità, ma anche il suo limite. Straordinaria e raccapricciante la sequenza in cui Junon e suo figlio Henri rivelano con sconvolgente ordinarietà di non essersi mai voluti bene l’un l’altro. Momento quello che riunisce per altro gli attori migliori del film: una magnanima, algida e (volutamente) insopportabile Catherine Deneuve e un sublime Mathieu Amalric. Tuttavia, a parte l’intensità di alcune vigorose e vibranti sequenze, tutto il resto è cerebrale, verboso e talmente sfuggente da risultare prolisso.
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linus2k
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lunedì 27 luglio 2009
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troppa carne sul fuoco...
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Amo profondamente il cinema francese che ritengo uno dei più profondi e psicologicamente interessanti... detto questo... "Racconto di Natale" esagera... le vicende di una famiglia complessissima, con un passato tragico e un background complessissimo basterebbero per farne più film... ed invece viene tutto condensato in 2 ore e mezzo di puro melo familiare, con 3 generazioni a confronto e con rancori da placare e vuoti da colmare... un cast splendido... ma il film sfugge di mano dal regista più volte (specie nella prima parte... piuttosto noiosa e confusa)
Nella seconda parte i personaggi prendono finalmente un loro binario e la trama riacquista una sua seguibilità...
In sostanza un buon film, ma c'è di meglio.
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Amo profondamente il cinema francese che ritengo uno dei più profondi e psicologicamente interessanti... detto questo... "Racconto di Natale" esagera... le vicende di una famiglia complessissima, con un passato tragico e un background complessissimo basterebbero per farne più film... ed invece viene tutto condensato in 2 ore e mezzo di puro melo familiare, con 3 generazioni a confronto e con rancori da placare e vuoti da colmare... un cast splendido... ma il film sfugge di mano dal regista più volte (specie nella prima parte... piuttosto noiosa e confusa)
Nella seconda parte i personaggi prendono finalmente un loro binario e la trama riacquista una sua seguibilità...
In sostanza un buon film, ma c'è di meglio...
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rox
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venerdì 23 gennaio 2009
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ma che noia!
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per quanto sia stato ben recitato l'ho trovato noioso,troppo lento...vi assicuro che ha attirato solo a tratti la mia attenzione.
[+] sì..una gran noia
(di mary)
[ - ] sì..una gran noia
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mary
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domenica 11 gennaio 2009
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una falla nel cinema francese
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Che io in generale adoro..a parte certe deviazioni come questa. Il primo tempo è noiosissimo. Il secondo è già più interessante con delle peculiari commoventi inquadrature sul figlio "schizzofrenico"..sul suo comportamento..con il capovolgimento e la relativizzazione dei punti di vista...il fratello Henry odiato dall'odio di una sorella e consorte frustratissimi e genitori inesistenti...Poco a poco ci si abitua allo spirito singolare di questa famiglia. Ma a parte l'interessante mescolanza che non fa prendere le parti di nessuno,
un film che offre davvero poco...artefatto..snob nel pretendere di dire chissa cosa.
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nick
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sabato 10 gennaio 2009
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palloso
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soporifero, tuttavia portatore di sonni agitati per il terrore di perdere il filo di una trama terribilmente complicata quanto inconsistente. a non vederlo non si perde niente.
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katrina
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sabato 3 gennaio 2009
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macchinoso
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un film non dovrebbe mai impegnare costantemente la mente per seguire la trama,questo lo è,e quindi risulta faticoso seguirne l'andamento per 2 ore e mezzo,troppo dispendioso psicologicamente....
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querontin
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sabato 3 gennaio 2009
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chi ha paura del lupo cattivo?
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C'è la famiglia, c'è il Natale, ci sono i buoni e i cattivi sentimenti. Tutto chiaro, no? Ma quel che più conta è che c'è, finalmente, un regista a tutto tondo. D. si inerpica con maestria su una sceneggiatura da scalata del Pordoi: mostra-cela, moralizza-dissacra, piange-ride, anche, sopra le sue tante figure, che gli scappano da ogni parte come formiche terrorizzate dalla scopa. Ma non si ferma qui. Il suo stile vivo, pungente calamita gli occhi allo schermo, usa le ombre cinesi, il bisturi del chirurgo, il coltello da cucina, la neve, gli psicofarmaci, la croce di David e, sopra a tutto, il tumore: linea guida della famiglia forse ancor più del lupo dello scantinato. Racconta, racconta, racconta specialmente quello che lascia non detto, i passaggi che rimangono non spiegati, le connessioni non capite.
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C'è la famiglia, c'è il Natale, ci sono i buoni e i cattivi sentimenti. Tutto chiaro, no? Ma quel che più conta è che c'è, finalmente, un regista a tutto tondo. D. si inerpica con maestria su una sceneggiatura da scalata del Pordoi: mostra-cela, moralizza-dissacra, piange-ride, anche, sopra le sue tante figure, che gli scappano da ogni parte come formiche terrorizzate dalla scopa. Ma non si ferma qui. Il suo stile vivo, pungente calamita gli occhi allo schermo, usa le ombre cinesi, il bisturi del chirurgo, il coltello da cucina, la neve, gli psicofarmaci, la croce di David e, sopra a tutto, il tumore: linea guida della famiglia forse ancor più del lupo dello scantinato. Racconta, racconta, racconta specialmente quello che lascia non detto, i passaggi che rimangono non spiegati, le connessioni non capite. Sovrabbondante complesso inebriante depresso contorto confuso inespresso, in una parola: avercene.
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rara
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sabato 27 dicembre 2008
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un occhio introspettivo ai sentimenti
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le stanze di una casa borghese sono lo sfondo all'esprimersi di sentimenti soffocati per alcuni, per altri liberati di un gioco che pur sembrando al massacro culmina in un pranzo di Natale che permette
di guardarsi dentro ,di dare nuove possibilità alla vita.Vi è la ricerca di spiegare le motivazioni dei comportamenti umani laddove sembrano inadeguati .
Lo sguardo globale è permissivo ,lo rappresenta il padre con generosità e giustificazione per tutti.
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hbhh
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sabato 27 dicembre 2008
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jhh
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