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Film che non passa per le grandi distribuzioni, che non ha trovato risorse per essere doppiato e che è destinato al circuito d'essai. Una bella storia, raccontata con pochi mezzi, pochi attori e tanta bravura. La narrazione procede spedita sin dalle prime inquadrature e subito cattura l'attenzione senza ma lasciarla. Ci sono dal punto di vista della regia delle belle invenzioni e un montaggio secondo il mio modesto parere magistrale. I sottotitoli non distraggono affatto e dopo qualche minuto ci si sente perfettamente a proprio agio, anche perchè i dialoghi non sono eccessivi. Si parla, al di là del fatto specifico, vale a dire dell'enclave serbo-cristiano-ortodossa in terra kosovara-musulmana-albanese, della follia della guerra e dell'odio etnico che non può portare in nessun luogo. Lo si racconta attraverso la vita di quattro bambini-ragazzi, che con i soli loro volti eloquenti riescono a portarci in quel pantano melmoso dell'intolleranza dove ogni cosa si perde. Vivono solitari, chi ha perso la madre, chi il padre, immersi in clima di odio alimentato dai grandi, vorrebbero giocare insieme, vivere la loro età ma gli è precluso, perchè sono etichettati, perchè appartengono. Bello il finale dove il protagonista (straordinario), che veniva chiamato dispregiativamente “serbo”, andando a scuola a Belgrado diventa “albanese”. E' la storia che si ripete ogni qual volta il pensiero abbraccia il razzismo. Gli italiani del sud sono terroni per quelli del nord, e questi ugualmente lo sono per gli svizzeri. Unico appunto è l'essere troppo di parte e far passare gli albanesi del kosovo come cattivi e i serbi come buoni.
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