Un ufficio affollato e alquanto caotico, dove non mancano impiegati che si lamentano dei turni, organizzano lotte sindacali ed entrano in contrasto con i superiori. Queste sono le immagini con cui si apre “Ore Diciotto in Punto” di Pippo Gigliorosso. Ma non fatevi ingannare dalle apparenze: non si tratta di un film ambientato alle Poste Italiane!
Perché questi impiegati, come capiremo da un certo momento in avanti, non sono esseri umani… ma angeli. Strani angeli in papalina rossa, che dopo il lavoro amano guardare i tramonti e che a bordo di taxi gialli vanno a compiere il proprio dovere: prelevare le anime dei suicidi e guidarle verso il luogo a cui sono destinate, attenendosi a regole estremamente rigide e a una procedura infallibile. Infallibile almeno fino al giorno in cui l’angelo Paride, che svolge questo lavoro da un ragguardevole periodo di tempo (più di tremila anni, secolo più, secolo meno), va incontro al più inatteso e impensabile dei contrattempi: uno dei suoi “protetti”, il barbone Nicola, il cui suicidio era previsto a Palermo alle ore diciotto in punto, accantona il suo progetto a causa dello squillo del telefonino perso da una sconosciuta, gettando così nel panico e nell’imbarazzo l’intero ufficio celeste.
“Ore Diciotto in Punto” è una rarità, un miracolo sotto molti punti di vista. E’ un film indipendente, e lo è nel senso letterale del termine, autofinanziato interamente da cast e troupe, in un’impresa coraggiosa e folle, di quella follia che accomuna i bambini, i sognatori e i poeti. Strano a dirsi, questo film girato con tanta scarsità di mezzi (economici, perché l’inventiva e la professionalità non mancano di certo) ha davvero poco da invidiare ai suoi fratelli maggiori realizzati a suon di soldoni; anzi, forse li batte in curva sotto molti punti di vista, perché possiede quella magia, quella leggerezza e quella capacità di osare che i film di oggi hanno un po’ perso, un profumo antico che sa di candore e di innocenza, e che ci riporta un po’ alla mente le commedie “alla Frank Capra”. In un paese completamente a digiuno di filmografia fantastica, e in cui ambientare a Palermo un film che non parli di mafia è considerata blasfemia, ecco che ci piomba dal cielo questa piccola perla, una storia semplice e profonda, accompagnata da una fotografia talmente intensa da lasciare a bocca aperta e da una stupefacente colonna sonora.
Un film che tutti dovrebbero vedere, perché fa bene al cuore, perché fa ridere, fa piangere, fa pensare. Un applauso a tutti gli attori, con una menzione d’onore al terzetto composto dall’ottimo Paride Benassai (Paride), dalla simpaticissima Valentina Gebbia (la barbona Duchessa, amica e protettrice del protagonista) e da Salvo Piparo (Nicola), il cui sguardo spaurito e malinconico, in una sola, straordinaria sequenza, basta a restituirci tutta la solitudine e la disperazione degli “invisibili”, di quel mondo sotterraneo che scorre parallelo al nostro ma che ci sforziamo a tutti costi di ignorare.
Impossibile descrivere la bellezza del finale, sorretto da un montaggio perfetto e da una musica sublime; in assoluto uno dei migliori che abbia mai visto.
Emozionante.
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