Due titoli restaurati che hanno saputo raccontare la città lombarda. E che ci dicono ancora qualcosa dell'Italia contemporanea.
Miracolo a Milano e Rocco e i suoi fratelli sono stati restaurati. Trattasi di due opere firmate da artisti giganti, De Sica e Visconti, che ritornano nelle sale. Non ho mai trascurato questi grandi ritorni. La prima ragione è il respiro di un’aria diversa, rispetto al cinema italiano contemporaneo, mai “fenomenale”. Ma questa volta c’è qualcosa di più, perché questi film possono far parte di un corso&ricorso, per la loro attualità. E poi Milano, vista, in chiavi diverse da due dei maggiori registi del cinema da quando esiste.
Quando decise di fare la storia milanese del miracolo, De Sica era conscio che il tema era per lui, una ricerca nuova. Non più il cosiddetto realismo di Ladri di biciclette (guarda la video recensione), Sciuscià e altri titoli, ma una visione favolistica, visionaria, con momenti di magia. Era la “provocazione” del romanzo di Zavattini, l’anima letteraria di De sica, Totò il buono. Conscio dunque che quel tema non era proprio il suo, il regista, per la scrittura, mirava all’assoluto, così assunse Suso Cecchi d’Amico, altra “anima” di De Sica e di tanti autori di quell’epoca. Si aggiunsero poi Mario Chiari e Adolfo Franci. La qualità letteraria era dunque al sicuro. Correva l’anno 1951.
Era la vicenda del ragazzo Totò che vive con altri barboni, in una squallida landa della periferia. Dove però improvvisamente, sgorga il petrolio. E così ecco palesarsi l’immancabile prepotente che vuole sfruttare la situazione e liberarsi di quegli ospiti.
La scheda del film, col dettaglio del racconto, viene prodotta dopo l’editoriale. La situazione è perfetta per un confronto utopico del bene e del male, dei buoni e dei cattivi. Nella cornice della fantasia, del sentimento, della morale, e dell’inventiva di Zavattini. Anche allora, come sempre, si intromise la politica. La destra ritenne il film una metafora, facile, a buon mercato, del comunismo. La sinistra criticò l’immagine troppo poetica dei proletari. Ma c’è qualcosa che mette tutti d’accordo sulla qualità, la Palma d’oro vinta a Cannes. C’è un’immagine che fa parte della memoria, consolidata, del cinema: il volo finale a cavallo di una scopa, col passaggio proprio davanti a quello che oggi è il museo del Novecento, che, guarda caso, ha ospitato la proiezione di Miracolo a Milano restaurato qualche giorno fa.
Nove anni dopo Luchino Visconti, milanese, dunque perfetto conoscitore di quella cultura, diresse Rocco e i suoi fratelli. Anche di questo titolo viene prodotta la scheda alla fine. Una vedova della Lucania si trasferisce con quattro figli a Milano, dove vive il quinto. Ciascuno trova un lavoro. La famiglia sembra solida e unita, ma c’è una complicazione non da poco, due fratelli sono innamorati della stessa donna. Finisce con un assassinio e la disgregazione totale della famiglia. Visconti si ispirò al libro di racconti "Il ponte della Ghisolf"a, di Giovanni Testori. Mise mano alla sceneggiatura, ma in virtù della sua acclarata attitudine alla perfezione, chiamò gli scrittori Vasco Pratolini, Pasquale Festa Campanile, e l’immancabile Suso Cecchi d’Amico. Un gruppo di autori che interpretarono al meglio il contrasto fra la povertà, la depressione del sud, a fronte della civiltà industriale, economica, del nord.
Fedele alla sua attitudine alla rappresentazione, drammatica, magari pericolosa dei sentimenti e delle dinamiche famigliari. Per la fotografia e la musica Luchino si rivolse ai maestri maggiori Giuseppe Rotunno e Nino Rota. Non poteva che uscirne il capolavoro, davvero assoluto, eterno, che è Rocco e i suoi fratelli, accreditato dal Leone d’oro a Venezia e da altri numerosi premi. Voglio insistere sulla passione per le letterature del mondo del regista, uomo di profondissima cultura. Bastano i titoli: Ossessione, ispirato all’americano James Cain, La terra trema (Verga), Le notti bianche (Dostoevskij), Il Gattopardo (Lampedusa), Lo straniero (Camus), Morte a Venezia (Mann), L’innocente (D’Annunzio).
Ma credo che Visconti non ignorasse i drammi famigliari, complessi, spesso violenti, di un Tennessee Williams e conoscesse alla perfezione le rappresentazioni della famiglia di Thomas Mann nel suo “I Buddebrook", e di Dostoevskij in "I fratelli Karamazov".
All’inizio ho scritto di corsi&ricorsi e di attualità. Non è improprio richiamare il concetto attuale di “autonomia” così dibattuto e combattuto, con la visione della diversità fra Nord e Sud descritta da Luchino Visconti.
MIRACOLO A MILANO
Regia di Vittorio De Sica. Con Alba Arnova, Guglielmo Barnabò, Brunella Bovo, Emma Gramatica, Paolo Stoppa.
Proprio come nelle favole, Totò nasce sotto un cavolo e viene adottato da una buona vecchina che purtroppo muore troppo presto. Però il suo spirito non abbandona mai il buon Totò e gli viene in aiuto nei momenti più difficili. Soprattutto quando un ricco commendatore tenta di scacciare Totò e i suoi amici dal terreno sul quale vivono perché vi ha trovato il petrolio. Per merito della colomba magica che gli ha donato lo spirito della madrina, Totò compie molti miracoli e chiude in bellezza organizzando un esodo di tutti i poveri e gli sfrattati che partono alla ricerca di un mondo più giusto a cavallo delle scope.
Fantastico; b/n; 100’Italia, 1951.
ROCCO E I SUOI FRATELLI
Regia di Luchino Visconti. Con Claudia Cardinale, Alain Delon, Spiros Focas, Annie Girardot, Roger Hanin, Claudia Mori, Corrado Pani, Katina Paxinou, Renato Salvatori.
La storia di cinque fratelli lucani immigrati a Milano con la madre dà modo al regista di realizzare un potente affresco, che ha i toni della tragedia greca, sullo sradicamento dei meridionali. Rocco, interamente buono (un personaggio ispirato all’Idiota di Dostoevskij), cerca di tenere unita la famiglia, accettando perfino di intraprendere l’odiata carriera di pugile; ma tutto è inutile: Simone prende una brutta strada e finisce per ammazzare una povera prostituta, sua ex amante, che ora gli preferisce Rocco; Vincenzo rinnega la sua origine contadina diventando un piccolo borghese; Ciro è pure costretto a rifiutare le proprie origini diventando operaio. La speranza di un ritorno al sud rimane solo al più piccolo, Luca. Il film è probabilmente il capolavoro di Visconti e si avvale di un ottimo cast e di eccellenti collaboratori (Pratolini e Suso Cecchi D’Amico per il soggetto, Festa Campanile, Franciosa e Medioli per la sceneggiatura, Rotunno per la fotografia, Rota per le musiche).
Drammatico; b/n; 180’Italia, 1960.