C’ERA UNA VOLTA... A HOLLYWOOD, UNA SFACCIATA RILETTURA DELLA STORIA

Tarantino rievoca la suggestioni del passato che conosce meglio. Al cinema.

Tommaso Drudi, lunedì 30 settembre 2019 - Scrivere di Cinema

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Margot Robbie (Margot Elise Robbie) (35 anni) 2 luglio 1990, Gold Coast (Australia) - Cancro. Interpreta Sharon Tate nel film di Quentin Tarantino C'era una volta... a Hollywood.

Giocare con le verità della storia e intervenire in modo decisivo nelle dinamiche con cui questa ha scritto il passato è sempre molto affascinante, non solo perché una simile manipolazione determina una presa di posizione, e quindi un pensiero chiaro su ciò che è stato, ma anche e soprattutto perché nella rappresentazione attraverso il dispositivo artistico non può mancare una messa in questione della realtà. Non può mancare, in sostanza, un fatto interpretativo. Per alcuni autori, attingere dal grande serbatoio del "realmente accaduto" può restituire urgenza e progressione drammatica alle loro ossessioni meno facilmente risolvibili: Malick prende la battaglia di Guadalcanal e la spoglia dei caratteri da war movie per farne strumento di riflessione e indagine alla ricerca di un significato, l'Eastwood memorabile del dittico su Iwo Jima si cala anima e cuore dalla parte degli sconfitti, mantenendo a portata di sguardo il potere emotivo del sentimento e della morale, o ancora Guillermo Del Toro affianca, alla strada immodificabile della Storia con la S maiuscola, quella del fantasy, vissuto non come rifugio nascosto al di là dei traumi della guerra civile spagnola, ma piuttosto come alternativa per viverli con la forza dell'immaginazione.

E poi c'è Tarantino. Per lui il faccia a faccia con la vicenda storica non è mai solo una rilettura e nemmeno il semplice trasferimento del proprio linguaggio all'interno del vero, ma una radicale, sfacciata e irresistibile riscrittura che non si esaurisce nelle sue connotazioni più squisitamente pulp, quindi nella violenza troppo esasperata per avere un senso e nell'alterazione del destino che la Storia ha già provveduto ad assegnare ai personaggi reali.
Tommaso Drudi

Infatti sia il feroce assassinio di Hitler ad opera dei Bastardi sia la sconfitta inflitta allo schiavismo bianco da Django, manifesto-eroe della comunità afroamericana nel Texas di metà Ottocento, sono soluzioni a doppio fondo: da una parte l'elaborazione della materia storica è così personale e disinibita da trovare una sua stabilità nell'immaginario, e quindi da diventare vero e proprio codice semantico, dall'altra le modalità di intrusione della fiction nel contesto reale non rispondono più a esigenze di "licenza creativa", come le sintesi e le semplificazione di alcuni avvenimenti ad esempio, ma ad una precisissima idea di cinema.

Un film come C'era una volta a...Hollywood (guarda la video recensione) si appropria della stessa architettura discorsiva per cui due protagonisti d'invenzione, in questo caso l'attore ormai al capolinea Rick Dalton e la sua inseparabile controfigura Cliff Booth, gravitano tra gli studi di produzione e gli ambienti della Los Angeles del 1969 in mezzo a personaggi cardine della Hollywood di quel periodo, da Bruce Lee a Steve McQueen fino alla coppia Sharon Tate/Roman Polanski.

Se la contraffazione della verità dei fatti, covata per tutta la prima parte e fatta focosamente esplodere nell'esilarante sequenza finale, rimane la costante stilistica meglio riconoscibile dell'autore, stavolta Tarantino condensa tutto il materiale narrativo a sua disposizione in uno sviluppo privo di intreccio, senza né quel gusto per lo show verbale inarrestabile e provocatorio con il quale tanto si era sbizzarrito in The Hateful Eight né la cura nei confronti di uno storytelling calcolato e complesso, come quasi sempre è stato dai tempi di Pulp Fiction. Scelta di certo insolita per un regista così innamorato della parola e così attratto dalle potenzialità della scrittura, eppure il confronto diretto con la Storia, e la Storia che Tarantino meglio conosce e più adora, quella del cinema, non aveva davvero bisogno di una sostanza che dettasse il ritmo e funzionasse da dominante narrativa.

C'era una volta a...Hollywood (guarda la video recensione) mette il suo regista nelle condizioni per cui l'ammirazione e l'attaccamento nei confronti del mondo dello spettacolo non deve essere fondale ma al contrario strategia testuale e vettore di soggettività: Dalton e Booth, figure di una stagione cinematografica conclusa e mai dimenticata, si muovono da vecchie glorie e novelli outsider nell'ambiente che ne ha decretato il successo e che ora, lentamente, condanna al declino. Tarantino li porta sui set dei western di serie B, li fa interagire con l'élite dello show business, ride insieme a loro delle sbornie e delle serate davanti alla tv, piange con loro per gli insuccessi e le gaffe durante le riprese.
Tarantino, in definitiva, li ama e ama con sincera devozione e occhio nostalgico quel mondo perduto che non ha bisogno di essere contaminato ma di essere rievocato, attraverso l'unica macchina del tempo esistente e la sola storia in grado di cambiare l'altra Storia, quella con la S maiuscola, e di riscriverla secondo la sua arte: il cinema.

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