MA: UN THRILLER PATOLOGICO A PIÙ MATRICI

Una storia in cui la violenza diventa una soluzione impossibile per eliminare il leitmotiv della colpa. Al cinema.

Giovanni Chessari, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema, martedì 2 luglio 2019 - Scrivere di Cinema

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Octavia Spencer (Octavia Leonora Spencer) (53 anni) 25 maggio 1972, Montgomery (Alabama - USA) - Gemelli. Interpreta Sue Ann nel film di Tate Taylor Ma.

Che si tratti del Michael Myers di Halloween o del Leatherface di Non aprite quella porta, la mitologia elementare del cinema del terrore ha da sempre prediletto come maschera di ideale antagonista la figura del brutale assassino seriale, carnefice perlopiù di mandrie di giovani liceali disgraziatamente incorsi nelle sue taglienti grinfie. Ed è proprio dalla grammatica filmica di questo sottogenere horror che il regista Tate Taylor ha ricavato la sua ultima opera, regalando alla talentuosa Octavia Spencer non solo la prima vera occasione da protagonista, ma anche (ed è probabilmente questa la ragione principale per cui il film è stato fortemente voluto dalla sua interprete assoluta, la quale figura persino nel ruolo di produttrice esecutiva) la possibilità di dare una dignità inedita all'abusato stereotipo del bistrattato comprimario di colore, tendenzialmente destinato a soccombere per primo nelle produzioni horror del trentennio Settanta-Duemila.

Alla seconda collaborazione col medesimo regista dopo la vittoria dell'Oscar da non protagonista per The Help, la Spencer torna a cercare riscatto per gli ingiusti torti subiti.
Giovanni Chessari, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Ma se per la sua adorabile Minny Jackson la rivincita personale risiedeva in una calda torta dal preparato escrementizio, per la folle Sue Ann di Ma (guarda la video recensione) la vendetta è un piatto che va servito ghiacciato ancor più che freddo.
A metà strada tra il sadismo esibito del John Ryder di The Hitcher e la furia letteraria dell'Annie Wilkes di Misery non deve morire, ma soprattutto debitore di un immediato precedente come l'ottimo Regali da uno sconosciuto, le recriminazioni di Ma derivano da un episodio indimenticato di un lontano passato adolescente, evento per lei totalmente condizionante per la sua intera esistenza successiva.

Convinta dell'ineliminabile essenza bestiale della fauna umana circostante, inguaribilmente votata alla denigrazione e all'umiliazione del prossimo, Sue Ann ha rinchiuso sé stessa (e non solo) in una vera e propria gabbia che la illuda di poterla alienare dalla vita; e se l'estraneo irrompe per lei varrà la legge del taglione: chi si è comportato da animale, da animale andrà trattato.

Se il leitmotiv di fondo è quello dell'eredità della colpa, la cui espiazione finisce per essere pegno esclusivo della generazione successiva a quella effettivamente responsabile del crimine, il film propone in chiave di thriller patologico un'indagine più ampia sul senso del sopruso più subdolamente psicologico che materialmente fisico, e su quanto esso contamini senza soluzione di continuità tutto ciò che tocchi.

In Ma si rincorrono molteplici necessità sociali, dall'infida piaga del bullismo all'esilio coatto di matrice razzista (complice una pennellata di vernice bianca), laddove il denominatore comune è quello dell'inutile non senso della violenza. D'altra parte, come ha già dimostrato con notevole sapienza narrativa la prima stagione di Big Little Lies (guarda la video recensione), un ambiente violento genera inevitabilmente persone violente e riduce il culto della gentilezza ad una durissima guerra di resistenza destinata a chiudere in ritirata.

In fin dei conti gli interrogativi sono sempre quelli che si poneva già Luigi Comencini nel suo straordinario Lo scopone scientifico, ovvero quanti modi conosca la violenza e quanto una risposta violenta possa essere o meno una soluzione davvero vincente su una violenza subìta. Il risultato è che, oggi come allora, il rancore e la guerra non prevedono né vinti né vincitori: da entrambe le parti se ne esce solo da perdenti, così come ci si era entrati.

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