Spontaneous, 2020, regia di Brian Duffield, con Katherine Langford (Mara) e Charlie Plummer (Dylan).
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Spontaneous, 2020, regia di Brian Duffield, con Katherine Langford (Mara) e Charlie Plummer (Dylan).
Prima opera come regista dello sceneggiatore Brian Duffield che aveva fino ad ora firmato opere legate al genere horror, più o meno convenzionali ma con alcune caratteristiche di un certo interesse all’interno del genere. In Underwater, ad esempio, dello stesso anno, il 2020, Duffield rende in modo egregio il tema della fuga dal pericolo di un gruppo di sopravvissuti di una base sottomarina e, allo stesso modo, dà corpo all’entità che minaccia di morte gli stessi. Da questo punto di vista l’archetipo, certo migliore, è ancora, tra gli altri, l’ineguagliabile Alien. In Spontaneous invece Duffield dà vita ad una esemplificazione dichiaratamente diversa perché la vicenda prende il là quando, inspiegabilmente, alcuni studenti letteralmente “esplodono” in presenza di tutti i propri compagni, annientandosi in una nuvola di sangue. La trovata, e la bravura, di Duffield consiste nel fatto che egli non insegue il perché di quelle morti, ma vuole analizzare quanto e come tutto ciò abbia le proprie conseguenze sugli altri ragazzi e, in particolare, su due ragazzi ovvero i protagonisti destinati ad innamorarsi profondamente l’uno dell’altra. I due, Mara e Dylan, hanno così modo di conoscersi sempre meglio, di chiarire a sé stessi e all’altro/a la verità del proprio sentimento reciproco ma nel frattempo le “esplosioni” si susseguono imperterrite, facendo sempre più il vuoto attorno a loro due. Ecco la questione fondamentale, il pericolo c’è ma non gli si può dare volto alcuno, le morti si accumulano ma i due ragazzi trovano la forza, il coraggio, di amarsi vicendevolmente. Il film, la storia, il sugo, più o meno manzoniano, sembra dirci che la morte conosce le proprie vie, i ragazzi, ovvero tutti noi viventi, ne sono/siamo totalmente succubi, ma non per questo i due rifiutano di pensare di innamorarsi, l’unica ancora capace di riscattare l’essere umano. Non è importante allora capire perché le morti accadono, si verificano perché non possono non accadere. La loro sequenza senza nessuna logica è la metafora meglio disegnata dell’assoluta fragilità all’interno della quale tutti viviamo. E non è neanche un caso che i protagonisti siano due ragazzi, perché quello che è importante non è affatto “un percorso di formazione” come potrebbero dire i pedanti. Solo ed esclusivamente, invece, la freschezza del pensiero, la propria originalità in presa “diretta”. La questione è meno “comica” di quanto potrebbe apparire ad una frettolosa lettura: i ragazzi sono l’esempio più naturale di una innocenza non più compresa, non più cercata, non più voluta, in genere, dal mondo degli adulti. In questo il film trova una propria cifra di originalità. Purtroppo però le conclusioni che il regista trae non sembrano pari alle promesse. È vero che Il film avrebbe potuto continuare nella ricerca di significati e di svolgimenti sempre meno scontati e più impegnativi, invece dopo aver raggiunto il proprio acme, Duffield sceglie di “rientrare” nelle convenzioni, di concludere il proprio film ponendo il suo termine all’interno di un orizzonte decisamente più scontato. Nonostante ciò l’opera raggiunge per una parte consistente un buon livello di tensione costruttiva, e di narrazione dei significati, volendo escludere tuttavia dal giudizio complessivamente positivo la parte finale e alcune incoerenze nella impaginazione delle immagini.
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