Difficile scrivere qualcosa su un progetto così spiazzante ed eccentrico come il tributo di Bruno Dumont alla Pulzella d'Orléans, eroina nazionale (oggi forse qualcuno direbbe nazionalista) che il regista francese coglie nel suo fervore mistico prima di bambina e poi di adolescente.
In realtà non si tratta né di una rappresentazione narrativa né di un ritratto descrittivo, abbiamo piuttosto a che fare con un’interpretazione decisamente espressionista del mito di Jeanne d’Arc, una specie di lauda recitata, cantata e danzata in modo totalmente anarchico. Dialoghi serratissimi, tessiture di note disarmoniche, che è tanto difficile catalogare musicalmente quanto impossibile considerare come un semplice elemento di supporto e movimenti febbrili del corpo, liberi da ogni schema accademico, agiscono in realtà in un’unica direzione per estroflettere il fervore religioso e interventista di Jeannette come fosse un’urgenza, non solo spirituale, da assecondare.
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Difficile scrivere qualcosa su un progetto così spiazzante ed eccentrico come il tributo di Bruno Dumont alla Pulzella d'Orléans, eroina nazionale (oggi forse qualcuno direbbe nazionalista) che il regista francese coglie nel suo fervore mistico prima di bambina e poi di adolescente.
In realtà non si tratta né di una rappresentazione narrativa né di un ritratto descrittivo, abbiamo piuttosto a che fare con un’interpretazione decisamente espressionista del mito di Jeanne d’Arc, una specie di lauda recitata, cantata e danzata in modo totalmente anarchico. Dialoghi serratissimi, tessiture di note disarmoniche, che è tanto difficile catalogare musicalmente quanto impossibile considerare come un semplice elemento di supporto e movimenti febbrili del corpo, liberi da ogni schema accademico, agiscono in realtà in un’unica direzione per estroflettere il fervore religioso e interventista di Jeannette come fosse un’urgenza, non solo spirituale, da assecondare.
Un’opera per certi versi severa e scarna e per altri versi debordante, una liturgia allo stesso tempo antica e contemporanea, costantemente destabilizzata da elementi visivi e recitativi anti-naturalistici che inducono un continuo senso di alterazione. Ciò che avvertiamo immediatamente, anche quando nella fase iniziale della visione siamo ancora alla ricerca del giusto approccio da adottare rispetto a un film così disorientante, sono il vigore dell’estro e l’assenza di incertezza sia nell’impostazione generale del film che nella scelta di tutti i fattori espressivi di questo “musical” schizoide che ci chiede di attenderne il compimento prima di domandarci quanto e cosa ha lasciato in noi e in che relazione si potrà affiancare alle precedenti opere sull’eroina francese.
Visione impegnativa, inutile nasconderlo, ostica ed esaltante insieme, indicata ad un pubblico che ha almeno un po’ di familiarità con la ricerca di Bruno Dumont, un pubblico che, a condizione di voler lasciare da parte ogni genere di aspettativa canonica sull’andamento del film, può sperimentare in cambio tutta la forza sovversiva del personaggio e dell'opera stessa.
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