“Angst essen Seele auf” prende il titolo da un detto marocchino: la paura mangia l’anima. Il film è incentrato sul rapporto fra i due protagonisti, Emmi e Alì, conosciutisi in un bar dove Emmi è entrata casualmente. La solitudine della donna, che è in età avanzata e per di più vedova, viene a combaciare con quella del marocchino, che tutti chiamano Alì ma che in realtà è un nomignolo che gli è stato affibbiato; questa solitudine non fa che aumentare man mano che il rapporto tra i due cresce e sfocia nel matrimonio. Il tema centrale del film è la paura d’amare generata dai giudizi ( o meglio, dai pregiudizi ) della gente nel momento in cui le convenzioni vengono violate: emerge infatti il tabù di fondo per cui una donna tedesca in età avanzata non debba frequentare un giovane marocchino ( a cui nel corso del film vengono affibbiati epiteti di ogni tipo ), pena l’esclusione e il disprezzo; persino i figli, quando sono messi al corrente del matrimonio, ripudiano Emmi. La società è disposta ad accettare la solitudine dei due ma non la loro felicità, è disposta a far lavorare Alì purché non sconfini dal suo ruolo, non tenti in qualche modo di «integrarsi», è disposta a rispettare Emmi fino a quando non faccia qualcosa di sconveniente: innamorarsi di un giovane straniero; non è infatti la loro solitudine a infastidire la gente, ma l’amore a cui non sembrano aver diritto. Il regista inoltre rincara la dose, perché quella stessa società che li aveva emarginati li riaccoglie poi per gli interessi più banali, come il bisogno di clienti del droghiere o il figlio di Emmi a cui serve una babysitter. Emblematico il ruolo ritagliatosi da Fassibinder stesso, quello di un marito pigro e violento che quando viene a sapere dell’amore della suocera, non esita a darle della svitata. Ed è proprio Ali infine che sembra soccombere a tutta questa tensione, venendo colto da un attacco di ulcera, mentre fino ad allora era parso il più forte fra i due, e il dolore, la paura e l’indignazione erano stati espressi soprattutto da Emmi. Il film è quasi tutto girato in interni e, basandosi principalmente su sguardi e dialoghi, risulta piuttosto “teatrale” . Per mezzo di questo legame fuori dagli schemi Fassbinder è riuscito a mettere in luce l’ipocrisia e la grettezza della società borghese del suo e ( forse ) anche del nostro tempo.
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