carloalberto
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sabato 30 gennaio 2021
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tra la maddalena e fra cristoforo
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Sprazzi di normalità si aprono improvvisi in vite segnate dall’abiezione. Il sereno irrompe nella tempesta e viceversa, mimando l’alternanza del giorno alla notte, in una danza sabbatica intervallata da graziosi minuetti. La felicità è un fantasma che appare fugace nella storie senza senso dei protagonisti, donando attimi di tregua dall’inferno in cui sono stati gettati e subitaneamente si dilegua. La luce nelle tenebre è soltanto un lampo accecante di bellezza che illumina l’innocenza di un’adolescente, vestita col suo bel completo rosso, sognante sulle sponde di un lago o sulle rive dell’oceano di un azzurro così intenso da sembrare dipinto.
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Sprazzi di normalità si aprono improvvisi in vite segnate dall’abiezione. Il sereno irrompe nella tempesta e viceversa, mimando l’alternanza del giorno alla notte, in una danza sabbatica intervallata da graziosi minuetti. La felicità è un fantasma che appare fugace nella storie senza senso dei protagonisti, donando attimi di tregua dall’inferno in cui sono stati gettati e subitaneamente si dilegua. La luce nelle tenebre è soltanto un lampo accecante di bellezza che illumina l’innocenza di un’adolescente, vestita col suo bel completo rosso, sognante sulle sponde di un lago o sulle rive dell’oceano di un azzurro così intenso da sembrare dipinto.
Quando meno te lo aspetti il personaggio, che hai imparato ad apprezzare per le sue qualità umane, si trasforma in un mostro assassino, lasciandoti nel dubbio. Il protagonista alterna momenti di estrema umanità a cadute bestiali. Il riscatto di una vita sbagliata arriva, atteso, nel sacrificio della sua libertà per il futuro di una bambina che ha appena conosciuto. Il cerchio si chiude, la bambina divenuta adulta lo ringrazierà chiedendo verità. La verità è l’amore non dichiarato, pudicamente trattenuto, per quella creatura destinata dalla vita al martirio, delle sevizie paterne prima, degli orchi che abitano il mondo infine.
Film inconsueto, non etichettabile facilmente. Sebbene si rifaccia ai classici topoi del gangster movie e del drammatico, non è assimilabile né all’uno né all’altro, attingendo ad archetipi, estranei alla mitologia filmica di genere, e parimenti al mito della donna angelicata del dolce stil nuovo, che trae fuori dall’oscurità del male l’eroe, conducendolo fino in paradiso, e a quello evangelico della Maddalena peccatrice e prostituta redenta.
Girato in stato di grazia da Mélanie Laurent, sorprendentemente migliore come regista che come attrice, è interpretato con levità da Elle Fanning e da un cupo, violento e spaesato Ben Foster, che dà vita ad un personaggio non scontato, che riesce a dare un senso ad una vita senza senso, in un paese ritratto realisticamente nello squallore dei motel e dei pub che costellano la provincia americana abbandonata al nulla.
Quello della Laurent è uno sguardo impietoso ed ottimistico al contempo, che non soltanto crede possa nascere un fiore nel deserto, ma che vi possa crescere perché qualcuno se ne prende cura, ed, infine, crede che anche il peggior criminale sia in fondo un santo.
L’ingenua visione del mondo della Laurent e di Nic Pizzolatto, autore della sceneggiatura e del romanzo omonimo, Galveston, entrambi influenzati dai modelli cristiani della redenzione, del riscatto spirituale e della grazia, non toglie nulla, tuttavia, alla validità artistica dell’opera. E’ una finestra su un mondo parallelo resa possibile dal mezzo filmico, che non descrive le cose come stanno ma come potrebbero essere o dovrebbero essere, in un sogno ad occhi aperti che, attraverso le immagini, ricrea nella mente dello spettatore un’altra realtà, onirica, forse favolistica, ma appartenente alla nostra cultura atavica, fatta di aneddoti paradigmatici di storie di santi ex malavitosi convertiti al bene e di reminescenze manzoniane che evocano il fra Cristoforo che salva l’innocente Lucia, nel film, la bambina sottratta ad una vita degradante.
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gianleo67
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martedì 13 novembre 2018
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roy...è la tempesta
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Con la spada di Damocle di un sospetto carcinoma polmonare e quella assai più certa di essere ormai fuori dal giro delle estorsioni a seguito della congiura ordita ai suoi danni dal proprio boss, Roy sfugge all'agguato mortale che avrebbe dovuto liquidarlo, portando con sè una giovane prostituta sopravvissuta agli stessi killer. La sua fuga nella cittadina costiera di Galveston, insieme alla ragazza ed alla giovane figlia di quest'ultima, sarà l'occasione per garantirsi l'ultimo salvacondotto possibile ma anche quella per assecondare un sentimento di solidarietà umana che non avrebbe mai creduto di possedere. Il destino però incombe minaccioso, come i devastanti tornado che flagellano da sempre il golfo del Messico.
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Con la spada di Damocle di un sospetto carcinoma polmonare e quella assai più certa di essere ormai fuori dal giro delle estorsioni a seguito della congiura ordita ai suoi danni dal proprio boss, Roy sfugge all'agguato mortale che avrebbe dovuto liquidarlo, portando con sè una giovane prostituta sopravvissuta agli stessi killer. La sua fuga nella cittadina costiera di Galveston, insieme alla ragazza ed alla giovane figlia di quest'ultima, sarà l'occasione per garantirsi l'ultimo salvacondotto possibile ma anche quella per assecondare un sentimento di solidarietà umana che non avrebbe mai creduto di possedere. Il destino però incombe minaccioso, come i devastanti tornado che flagellano da sempre il golfo del Messico. Roy&Rocky è una coppia che si crea molto presto nell'economia di una script che asseconda la natura letteraria on the road del soggetto che l'ha ispirato; forse troppo presto, saltando dal breve prologo di una diagnosi potenzialmente infausta alla rocambolesca fuga di due derelitti che incrociano le proprie traiettorie lungo una direttrice apparente di redenzione e di riscatto. Insomma tutto da copione, con due personaggi che l'urgenza degli eventi che gli capitano tra capo e collo esime dalla necessità di una doverosa introduzione, rivelando la struttura preordinata e schematica di un noir in cui la bassa pressione e la bassa manovalanza criminale ne definiscono climax e destinazione finale, tra squallidi motel con vista sull'oceano, ricatti telefonici un po' telefonati ed il tema ricattatorio di una solidarietà umana che apre una parentesi di apparente tranquillità prima della prevedibile tempesta finale. Pur dotato di un buon ritmo e di un senso del dramma che si alimenta, come gli uragani, del tepore e della stagnante aria del sud, il quarto lungometraggio (il primo americano) della bionda transalpina Mélanie Laurent è un concentrato di luoghi comuni e schematismi narrativi che soffre gli scompensi di una sceneggiatura a velocità variabile (prologo ed epilogo precipitosi ed una parte centrale un po' debole) e di una chiusa finale che nella sua roboante tragicità vorrebbe dare un senso definitivo ad una storia che gli eventi avevano inopinatamente sospeso tra un evento catastrofico ventennale e l'altro. Mélanie Laurent sostituisce in corsa Janus Metz come regista del film, mentre la faccia un po' troppo pulita di Matthias Schoenaerts viene meglio rimpiazzata dalla maschera dolente e rabbiosa di un tarchiato e carismatico Ben Foster, uomo alla deriva che riassume molte delle contraddizioni e del materialismo misticheggiante dei caratteri di Flannery O'Connor. Girato non a caso nei pressi di Savannah - Georgia piuttosto che lungo le coste dell'omonina località costiera texana e presentato al South by Southwest, se ne attende il battesimo del fuoco di una sua distribuzione world wide.
Si fa a strisce il cielo e quella bassa pressione è un film di seconda visione, è l' urlo di sempre che dice pian piano: "Non siamo, non siamo, non siamo..."
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