L'ora blu |
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Un film di Stefano Cattini.
Con Ilario Bertelli, Irmgard Thuma
Documentario,
durata 67 min.
- Italia 2012.
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Un racconto nonfiction sull’Amore
di Nico CarratoFeedback: 200 | altri commenti e recensioni di Nico Carrato |
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venerdì 1 febbraio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una storia vera. Irma e Ilario. Una coppia di anziani all’alba degli ottanta anni. Una scelta radicale. Il rifiuto dei ritmi frenetici della città, l’inclusione nella dimensione naturale della Maremma. Un soggetto del genere potrebbe far pensare ad un film a tesi, modello "into the wild" versione maremmana, per giustificare un’analisi contestataria sulla presunta normalità dello stile di vita della nostra società. Nient’affatto. Il film è "L’ora blu", l’autore, Stefano Cattini, vincitore del premio come miglior opera italiana al Festival dei Popoli di Firenze, ci presenta una singolare ipotesi di cinema e di realtà. È una vicenda insolita questa di Irma e Ilario ritiratisi dal consorzio civile non per fare un bilancio esistenziale o inseguire un’idea utopica della realtà. Invece, ciascuno a suo modo, per continuare a (ri)progettare le loro vite: lui nel particolare, lei in una dimensione grandiosa. In questo contrasto, due anime buffe, bizzarre, uscite dal gregge, portano in dote all’autore la loro storia e un notevole potenziale narrativo in cui l’ingenuità delle loro intenzioni e dei loto atti, puerili e senili, innesca un umorismo ed un’ironia delicata e candida. Il palcoscenico splendido della natura sostiene e incoraggia. Tra le pieghe di questo materiale umano, ricco e fecondo, tra i colori intensi della natura, si deposita lo sguardo di un autore che stabilisce sin dalle prime inquadrature un rapporto con la realtà esplorativo, curioso, mai interrogativo. Non si preoccupa di recuperare una memoria della coppia, “il quanto e il come” del loro passato per motivare “il perché” della loro scelta. È la vita colta nel suo incedere presente che reca tracce di un passato filtrato con eleganza e misura. Il racconto, affrancato da una banale esegesi, trova equilibrio e forza comunicativa nella macchina da presa. Umile e caparbia, penetra la realtà senza abusarne. L’esuberanza espressiva dei protagonisti è mitigata da fotogrammi fermi e discreti, bagnati da un’intimità ricercata, mai artificiosa. Il risultato, profondamente (est)etico, mai letterario, è distante da un’idea di arte opportunistica che piega la realtà alle esigenze del mezzo che la rappresenta. L’autenticità è salva. Non c’è esemplarità, ma grande capacità d’astrazione. Non una valutazione sulle sovrastrutture, non una parabola naturalistica intonsa di simbolismo, ma una riflessione generosa sull’idea di un amore che ha smesso di dichiararsi ma che ora si esprime per mezzo di atti grandiosi e particolari. Forma e sostanza di un legame profondo e di un modo straordinario di abitare il mondo. Portare la macchina da presa nel grembo di madre natura, scoprire e proteggere l’apparente devianza di una coppia per conferire loro statuto di verità, umana, prima che artistica, è anche esso un atto d’amore verso due persone, non-personaggi, che allungano il respiro delle loro esistenze e dilatano lo sguardo degli spettatori. L’amore, metodo e fine, per parlare di cinema e di realtà.
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