Film del filone investigativo diretto dal grande Arthur Penn, che interpreta a modo suo questo genere classico del cinema americano.
Penn che insieme a Peckinpah è stato il maggiore esponente del western crepuscolare, con questa pellicola ripropone un’operazione assimilabile in quest’altro genere cinematografico di successo.
Rispetto ai noir degli anni ’40 e ’50, non ci sono le atmosfere intriganti, i giochi di luci ed ombre e soprattutto cambia la figura del protagonista, che viene fortemente smitizzato: non si tratta più del detective infallibile, freddo e sicuro di sé; al contrario il protagonista è un uomo vulnerabile, che non controlla l’evolversi degli accadimenti, ma in gran parte li subisce.
Non manca una trama intricata, tipica del genere, ma la vera cifra stilistica dell’ottima sceneggiatura è costituita dal senso di sconfitta che la permea, fino all’amaro finale; quest’ultimo è sicuramente suggestivo, ma forse ha la pecca di non curarsi di far tornare tutti i tasselli della storia al proprio posto, sicché lo spettatore ne resta un po’ insoddisfatto.
Ben scritti i dialoghi.
L’investigatore privato protagonista è interpretato dal sempre bravo Gene Hackman, una garanzia assoluta; negli altri ruoli di rilievo ci sono Jennifer Warren, Susan Clark, Edward Binns, John Crawford, Janet Ward, Harris Yulin e gli allora giovanissimi James Woods e Bersaglio di notte, quest’ultima alla sua prima parte importante.
Ottima la regia di Penn.
Poche le scene d’azione rispetto agli standard in film del genere.
Il detective interpretato da Hackman ha un passato da giocatore di football americano, caratteristica che deve essere molto comune in quel mestiere, almeno al cinema; si ricorda infatti la stessa peculiarità nel detective interpretato da Jeff Bridges nel film di Taylor Hackford “Due vite in gioco”, a sua volta remake de “Le catene della colpa” di Jacques Tourneur.
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