Dal 28 novembre, al cinema Quattro Fontane di Roma, una selezione dei film del regista. SCOPRI IL PROGRAMMA.
Si è inaugurata il 24 ottobre la seconda edizione della rassegna XX secolo – L’invenzione più bella, in programma fino al 4 giugno al cinema Quattro Fontane di Roma. Dopo la programmazione dedicata a Stanley Kubrick e a Yasujirô Ozu, John Ford e Jean Renoir arrivano Marlene Dietrich e Marco Ferreri, dal 28 novembre all’11dicembre.
Pino Farinotti ci guida attraverso la carriera di uno dei registi italiani più rivoluzionari: Marco Ferreri.
“Fuori dal coro” è un concetto, una piattaforma certo conosciuta in questa epoca. Ma il titolare di quel programma è solo un pallido dilettante a fronte di Marco Ferreri (1928-1997), regista milanese che ha firmato titoli, tanti, tutti fuori dal coro, inteso come tradizione, abitudine, corrente, proposte del cinema italiano. E poi vale il format, il peso del grande schermo rispetto al piccolo.
Ferreri giocava il grottesco, l’odio degli stereotipi, il non sense, la critica corrosiva espressa nei simboli. Quando ti sedevi in sala per vedere un suo film, era sempre una sorpresa. La logica drammaturgica veniva sempre stravolta. Ma lui lo sapeva fare.
Giovane, già colto, realizza un periodico sul cinema, “Documento Mensile”. Non è capito da tutti. Fa delle proposte di sceneggiature, tenta la recitazione, ma continua a non essere capito. Così sceglie di lasciare il Paese ed eccolo in Spagna, dove riesce a dirigere il suo primo film, El pisito (1958), che ottiene un premio al Festival di Locarno. Ma non è ancora sufficiente per interessare il sistema italiano. La diffidenza cade dopo i riconoscimenti che Ferreri ottiene col suo El Cochecito (1960).
A dargli fiducia è Alberto Lattuada che gli affida la sceneggiatura di Mafioso. Il regista è dunque pronto per il suo primo film italiano, Una storia moderna: l’ape regina (1962) , girato con intento abrasivo che non fa prigionieri, è la rappresentazione grottesca della famiglia “normale e perbene”.
A quel punto si apre per Ferreri un problema che lo riguarderà per molti dei suoi lavori, la censura. Che lo controlla anche nell’opera successiva, La donna scimmia (1964). La trama è forte e ed è perfettamente “alla Ferreri”. Anna ha il corpo coperto da una fitta peluria e per questa ragione vive isolata in un ospizio-ospedale. Un uomo di pochi scrupoli che vive di espedienti la convince ad esibirsi come fenomeno in un baraccone. Illusa dall’attenzione che lui le dimostra, Anna accetta e l’uomo arriva anche a sposarla pur di legarla a sé. La donna si accorge di aspettare un bambino, ma durante il parto muore e poco dopo muore anche il piccolo. L’uomo non si dispera e non si arrende: fa imbalsamare i due corpi e continua ad esibirli. Come detto l’artista non fa prigionieri. La donna scimmia rimane uno dei titoli più identitari dell’artista.
Ferreri è stato molto prolifico e nel panorama internazionale era ormai un autore che si imponeva, tanto che sono molti attori di prima grandezza che accettavano le sue proposte. Occorre fare delle scelte. Stare sui titoli fondamentali che accorpano la proposta integrale di Ferreri. Sopra ho detto “sorpresa e logica stravolta”. Il concetto è buono anche per i titoli. Ti apprestavi a vedere Dillinger è morto (1969) pensando a un gangster movie, e invece Dillinger non c’entrava niente. È la storia di un uomo che, trovata per caso una pistola, diventa un assassino e uccide la moglie. Senza nessuno scrupolo si fa ingaggiare come mozzo e parte per le Hawaii. La sua violenza ingiustificata è solo frutto della noia. È il film che ha riaffermato nell’opera di Ferreri un’impronta di internazionalità. Gli attori sono importanti, Michel Piccoli e Annie Girardot. Ancora una volta la logica narrativa… sfuggiva, veniva spiazzata, così come l’utente e il critico. Ma per Ferreri nessun problema, gli piaceva mettere a disagio.
La Cagna. Ispirato alla lontana a un romanzo breve di Flaiano ("Melampus"), ma fedele espressione dell’universo di Ferreri, è un tipico film di negazione: delle relazioni umane, della società, delle istituzioni, ma anche della identità stessa dei protagonisti. Giorgio è un pittore che si rifugia su un’isola deserta illudendosi di sottrarsi a una esistenza organizzata secondo rigidi schemi ideologici. Lisa, una femmina-oggetto, si unisce a lui per ricostituire, sia pure per amore, un alienante rapporto padrone-schiavo, in una posizione subalterna e degradata. Un giorno, stremati dal freddo e dalla fame, i due saliranno su di un aereo, residuato di guerra, che anziché levarsi in volo scivola verso il mare arrestandosi sulla spiaggia. Sarà una morte accettata, perché il loro non era desiderio reale di reinserirsi nella vita ma finzione di fuga. I protagonisti sono Mastroianni e Deneuve.
La grande abbuffata (1973). Quattro amici, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Michel Piccoli, Ugo Tognazzi nei ruoli, decidono di suicidarsi in una orgia di cibo e di sesso. Si ritirano in una vecchia villa parigina assediata da palazzi moderni. Muoiono uno a uno, oppressi da colossali mangiate e amplessi infiniti. Sacerdotessa della loro morte è Andréa Ferréol. La metafora può essere letta in chiave di visione della tendenza del ricco Occidente a suicidarsi, appunto, per una ricchezza che, male assunta e usata, può diventare a quelle conseguenze.
IL PROGRAMMA
Lunedì 28 novembre
ore 15.45 Marcia nuziale ore 20.00 La grande abbuffata
Martedì 29 novembre
ore 15.45 La Casa del Sorriso
ore 20.00 La donna scimmia
Mercoledì 30 novembre
ore 17.45 Chiedo asilo
Lunedì 5 dicembre
ore 15.45 Break Up
ore 20.00 Dillinger è morto
Martedì 6 dicembre
ore 15.45 La grande abbuffata
ore 18.00 El cochecito – La carrozzella
Mercoledì 7 dicembre
ore 17.45 Storia di Piera
Domenica 11 dicembre
ore 11.00 Una storia moderna – L’ape Regina