I MISERABILI: UN'AVVENTURA COLLETTIVA, UN FILM IMPLACABILE

Il film di Ladj Ly è un grido di esasperazione che trascende il film de banlieue con un cast magistrale. Premiato al Festival di Cannes e ora in streaming su MioCinema. GUARDALO SUBITO SU MIOCINEMA

Marzia Gandolfi, lunedì 18 maggio 2020 - Focus

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Adolescente nella cité des Bosquets a Montfermeil (a est di Parigi), Ladj Ly ha acquistato a diciassette anni la sua prima videocamera per registrare le tensioni sociali e raccogliere le prove dei metodi della polizia contro i ragazzi del suo quartiere. Un giorno del 2008, la violenza ordinaria passa il limite e Ly filma il pestaggio di un minore ammanettato. Segue uno scandalo, un’indagine e la sospensione dal servizio di alcuni agenti. Quel video è l’origine dei Miserabili (guarda la video recensione), declinato in un cortometraggio nel 2017 e nella versione in lungo due anni dopo.

Nella figura del bambino col drone (interpretato dal figlio del regista, Al-Hassan Ly) riconosciamo Ladj Ly, sentinella del quartiere e guardiano delle immagini. Ma il punto di vista morale del regista sulla storia che racconta passa sorprendentemente per un poliziotto (Damien Bonnard), appena sbarcato da Cherbourg e testimone futuro delle rivalità del quartiere e delle ‘bravate’ dei suoi colleghi. È lui a incarnare lo sguardo esteriore che frena gli ardori di un cowboy della BAC (brigata anticriminalità) caricato a molla contri i ragazzini della Cité. 
 

Affiancando con una certa empatia la pattuglia e i loro interventi, l’approccio del regista apporta un equilibrio singolare tra le forze in campo. È rara la misura nel trattare un soggetto così esplosivo nei ‘territori perduti’ della Repubblica dove Ladj Ly ha aperto una scuola di cinema e promette di far nascere nuovi sguardi.
Marzia Gandolfi, MYmovies.it

Altro segnale forte è far dipendere gerarchicamente da una donna i tre poliziotti della brigata. Jeanne Balibar, eccezionale nell’unica e lunga scena in commissariato piazzata al debutto del film, incarna un’autorità misurata, calma e non priva di umorismo e di charme. Dopo di lei le dimostrazioni di forza dei suoi poliziotti su campo suoneranno scordate. Ladj Ly va oltre il virilismo esasperato sovente tradito dal genere, si pensi ai polar di Olivier Marchal o ai poliziotti di Stefano Sollima (A.C.A.B.), applicando al suo soggetto una sensibilità decisamente femminile.

Il nuovo arrivato biasima di fatto il machismo fascista del suo collega, il poliziotto di Alexis Manenti (Chris), interprete e co-sceneggiatore del film. È lui ad attirare immediatamente lo sguardo dello spettatore. Nella versione ‘corta’ dei Miserabili, i personaggi erano appena schizzati e le responsabilità ripartite in parti uguali. Ma a questo giro di ronda tocca a lui incarnare l’agente aggressivo ossessionato dalla difesa del suo statuto nel territorio che controlla. Alexis Manenti ne fa un uomo abitato dalla paura e sopraffatto dagli eventi che affianca Gwada (Djebril Didier Zonga), suo doppio ‘positivo’ che vive con la madre con cui parla soninke, lingua mande parlata in Sierra Leone. 

Poliziotto nero nato a Montfermeil, scritto in opposizione a Chris, poliziotto bianco e razzista, Gwada è interpretato da Djebril Didier Zonga. Come Ly, è cresciuto nello stesso quartiere e dall’altra lato della legge, come Ly ha provato a comprendere cosa passi nella testa di un poliziotto arruolato in un mondo abbandonato ai suoi espedienti. Nei film americani, i poliziotti ‘arruolati’ sono sempre due e tutti e due accomodati nei sedili anteriori. Ladj Ly rompe lo schema e aggiunge un terzo agente sul sedile posteriore, formando un trio eterogeneo ‘in tour’ per le vie delle banlieue. Una macchina infernale che carbura testosterone e adrenalina, una trappola per gli attori che non avevano né modelli né stereotipi a cui riferirsi. Perché di poliziotti che assomiglino a quelli che potremmo incrociare sulla strada, non ne incontriamo mai sullo schermo.

Ly ne fa dei personaggi di fiction complessi che abitano lo stesso quartiere di quelli che sorvegliano e si ritrovano la sera negli stessi interni privi di qualsiasi lusso. Né bastardi fascisti, né modelli di virtù, non sono mai d’accordo tra loro sulla maniera di svolgere i loro interventi. È l’errore di uno di loro, un tiro di flash-ball (proiettili di gomma) che colpisce in pieno volto un bambino nel quadro di un’inchiesta sul rapimento di un cucciolo di leone in un circo gitano, a innescare la violenza. A Damien Bonnard (Pallottole in libertà) spetta il ruolo del terzo poliziotto (Stéphane), il candidato candido sbarcato dalla provincia che si ritroverà a occupare il centro del racconto. Confrontato con tutti i mali delle banlieue, Damien Bonnard interpreta un piccolo personaggio che acquista progressivamente spessore fino a imporsi con la sua presenza lunare. 

Precipitato nel cinema di Ladj Ly, il suo personaggio scoprirà in 24 ore i rapporti di forza esplosivi di una banlieue povera lasciata al suo destino. Tutto sgomento e rabbia trattenuta, Stéphane passa in rassegna la vita del quartiere con la sua difficoltà ad accettare la legge repubblicana o a sottomettersi ai regolamenti interni, imposti da una parte dall’Islam e dai suoi rappresentanti e dall’altra da un ‘sindaco’ che si arroga il potere di amministrare gli affari della Cité. Attraverso i suoi occhi scorre la galleria di coloro che ‘tengono la cité’, una cartografia sensibile alla diversità degli abitanti in risonanza con tre poliziotti altrettanto differenti.

Questo paesaggio instabile si disintegra sotto i colpi della collera dei più giovani, quelli che non hanno ancora appreso l’arte del compromesso con l’ordine stabilito, quelli intrappolati tra le ingiunzioni dei rappresentanti della Moschea e gli abusi della polizia, i regolamenti oscuri e i divieti del quartiere, i rimproveri dei genitori e le sentenze di esclusione. Il quartiere diventa una polveriera che poliziotti e rivoltosi finiscono per condividere, infilando un cul-de-sac incendiario. Un faccia a faccia tra due forze, un campo e controcampo finale tra due punti di vista, dove vittima e carnefice si scambiano di posto. Un gioco dove tutti perdono, dove tutti sono miserabili, ma certi più colpevoli di altri. Ed è a questo punto che Ladj Ly sceglie, in ultimo gesto sublime, di sospenderli, di sospendere. Il peggio può attendere e una chance infinitesimale dimorare. 

In foto una scena del film I miserabili.
In foto una scena del film I miserabili.
In foto una scena del film I miserabili.
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