mauridal
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martedì 6 ottobre 2015
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rabin the last day la costruzione di un film
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Amos Gitai regista del film si definisce in una intervista un “non regista” ma un architetto, volendo definirsi come non vero e proprio cineasta,ma altresì colui che progetta un qualcosa sia edificio , sia film o altro.
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Amos Gitai regista del film si definisce in una intervista un “non regista” ma un architetto, volendo definirsi come non vero e proprio cineasta,ma altresì colui che progetta un qualcosa sia edificio , sia film o altro. Ha voluto così prendere le distanze dal genere cinema per affidare il proprio lavoro ad una costruzione intellettuale, di tipo politico culturale. E credo proprio che il suo film sia una costruzione politica con una struttura culturale e una forma di indagine realistica se non d'inchiesta giornalistica. Anzi il suo tentativo è di dare delle risposte ai tanti interrogativi che l'assassinio di Rabin primo ministro israeliano nel 1995 ha posto al mondo . La urgenza civile di Amos Gitai nel realizzare il film si avverte quando usa un linguaggio scarno e immediato, dove la forma cinema si rappresenta come un reportage inserito in un filo narrativo spazio temporale che si dipana lungo l'ultimo giorno di vita del presidente con vari flash back che chiariscono gli antefatti e il clima avverso che turbava l'avventura politica della formazione pacifista di Rabin Il tutto in un quadro di correttezza politica nel discorso e nella posizione che l'autore assume nei confronti della vicenda storica. Dunque il film , come un edificio costruito per reggere un discorso , basato sull'ipotesi della presenza di una forte opposizione fondamentalista ebraica nel parlamento che complottò assieme a una componente estremista guerrafondaia per eliminare alla radice il problema, assassinando Rabin. Tuttavia agli occhi di uno sguardo inguaribilmente cinematografico, la costruzione , l'edificio non è completo. Il film di Amos Gitai , manca delle parti essenziali di una casa-film ,pur avendo curato alla perfezione il salotto e il soggiorno, perfino il terrazzo, si avverte la mancanza di una camera da letto e del bagno. Dunque il film , pur assecondando lo spettatore nel filo logico della vicenda, prolungandosi nella fase d'inchiesta giudiziaria seguita all' assassinio, diventando un docufiction sul processo alle responsabilità tecniche di chi doveva proteggere il presidente ,polizia, scorta ,intelligence ,ecc alla fine non trova una vera locazione sulla motivazione del film stesso, sulla reale necessità di girare un film di fiction con ricostruzioni e inserti originali. La Casa dell'architetto Gitai ,regge , il film del regista cinematografico, non raggiunge lo spessore e la qualità dei film di denuncia storica o di narrazione d'impegno sociale alla maniera di registi come Rosi o Lynch . Ma il Cinematografo è un altro luogo espressivo.
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peer gynt
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martedì 8 settembre 2015
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dio e scienza: armi per minare la via della pace
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Dura due ore e mezza l'ultimo film di Amos Gitai, ma la durata non pesa affatto. Il film scorre via fluido, nella sua natura di fiction con inserti documentaristici (filmati di repertorio e qualche intervista). All'inizio ricostruisce nel dettaglio gli ultimi momenti di vita di Rabin (ucciso il 4 novembre 1995 da un fanatico ebreo ortodosso), poi si concentra soprattutto sui lavori della commissione d'inchiesta istituita per individuare le falle del sistema di sicurezza del Primo Ministro. Ci fu complotto? No, sembra dire Gitai, ma sicuramente ci fu disaffezione nei confronti del premier, considerato quasi unanimemente traditore del popolo israeliano e dissipatore della Terra Santa, e quindi ci fu disorganizzazione colpevole.
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Dura due ore e mezza l'ultimo film di Amos Gitai, ma la durata non pesa affatto. Il film scorre via fluido, nella sua natura di fiction con inserti documentaristici (filmati di repertorio e qualche intervista). All'inizio ricostruisce nel dettaglio gli ultimi momenti di vita di Rabin (ucciso il 4 novembre 1995 da un fanatico ebreo ortodosso), poi si concentra soprattutto sui lavori della commissione d'inchiesta istituita per individuare le falle del sistema di sicurezza del Primo Ministro. Ci fu complotto? No, sembra dire Gitai, ma sicuramente ci fu disaffezione nei confronti del premier, considerato quasi unanimemente traditore del popolo israeliano e dissipatore della Terra Santa, e quindi ci fu disorganizzazione colpevole. C'è però, in una scena finale chiara e inequivocabile, un'accusa di responsabilità morale dell'omicidio Rabin nei confronti di Benjamin Netanyahu, attuale Primo Ministro israeliano. Il convincente lavoro di Gitai, dal ritmo impeccabile e dalla musica inquietante e incalzante, è anche un'acuta riflessione sul potere dell'integralismo religioso di modificare la vita politica di una nazione e del mondo intero. E quale riflessione più attuale di questa? Infine vanno citate due scene agghiaccianti su tutte: la testimonianza spavalda e sorridente dell'assassino, convinto di essere portatore della verità assoluta, e la conferenza di una psicologa che cerca di dimostrare, con motivazioni scientifiche, che Rabin era affetto da una pericolosa schizofrenia e che avrebbe dovuto farsi curare dagli strizzacervelli. Insomma, usando due armi come Dio e la Scienza, si può minare la credibilità di qualsiasi dissenso politico, fino a distruggerlo e a portarlo a non esistere.
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