gianleo67
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giovedì 17 gennaio 2013
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il cuore nero della provincia inglese
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Giovane reporter dello Yorkshire Post indaga sui misteriosi ed efferati omicidi seriali di alcune bambine rapite e poi brutalmente violentate. Ne emerge un quadro a tinte fosche di inquietanti e inconfessabili connivenze tra un magnate immobiliare, le autorità di polizia locale e persino i vertici del giornale per cui lavora. Tra depistaggi, abusi e corruzione il suo interesse per la verità viene apertamente osteggiato fino al tragico e sanguinoso epilogo. Thriller per la televisione con una chiara vocazione cinematografica il film di Julian Jarrold si fa apprezzare per le atmosfere cupe e inquietanti di una provincia britannica perversa e corrotta (lontana dagli stereotipi della swinging London di quegli anni) e per alcuni interessanti spunti visivi che prediligono l'uso singolare e personale del piano sequenza e un montaggio che alterna momenti di descrizione ordinaria degli eventi alla percezione onirica e soggettiva di un protagonista che si addentra nei meandri di una verità sconcertante e inconfessabile (suggestive le sequenze del campo nomadi immerso nella straniante polluzione di un inferno abitato dalle inquietanti presenze di derelitti condannati ad una dannazione terrena).
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Giovane reporter dello Yorkshire Post indaga sui misteriosi ed efferati omicidi seriali di alcune bambine rapite e poi brutalmente violentate. Ne emerge un quadro a tinte fosche di inquietanti e inconfessabili connivenze tra un magnate immobiliare, le autorità di polizia locale e persino i vertici del giornale per cui lavora. Tra depistaggi, abusi e corruzione il suo interesse per la verità viene apertamente osteggiato fino al tragico e sanguinoso epilogo. Thriller per la televisione con una chiara vocazione cinematografica il film di Julian Jarrold si fa apprezzare per le atmosfere cupe e inquietanti di una provincia britannica perversa e corrotta (lontana dagli stereotipi della swinging London di quegli anni) e per alcuni interessanti spunti visivi che prediligono l'uso singolare e personale del piano sequenza e un montaggio che alterna momenti di descrizione ordinaria degli eventi alla percezione onirica e soggettiva di un protagonista che si addentra nei meandri di una verità sconcertante e inconfessabile (suggestive le sequenze del campo nomadi immerso nella straniante polluzione di un inferno abitato dalle inquietanti presenze di derelitti condannati ad una dannazione terrena). Sostenuto da un buon ritmo narrativo e dal filo conduttore di una insinuante e coerente trama gialla, non riesce tuttavia a sostenere validamente le dinamiche di un'azione che concentra le proprie attenzioni sul protagonista rischiando di smarrire il quadro di una visione generale che si attarda sovente su vicende e personaggi (il giornalista buono e quello cattivo, il poliziotto onesto e quello corrotto, le donne vittime e complici del carnefice, perfino lo stesso potente e inquietante manipolatore) che mancano di una credibile caratterizzazione rendendo alcuni aspetti della vicenda confusi e pretestuosi (si fa riferimento al peso di prove inconfutabili, come il dossier del giornalista ucciso e le piccole vittime da cercare 'sotto i cespugli', che rimangono elementi vaghi e irrisolti del quadro probatorio) banalizzando così gli spunti più interessanti di una narrazione che si appiattisce su un finale inverosimile e precipitoso.
Pur con i limiti propri della fiction di genere si avvale di un buon soggetto letterario (tratto da uno dei romanzi del ciclo 'Red Riding Quartet' dello scrittore inglese David Peace) e di una regia attenta e capace che rinnova la tradizione del cinema britannico in una curiosa e riuscita commistione tra Thriller e dramma sociale. Funzionale l'interpretazione del giovane Andrew Garfield mentre appare fuori parte l'inespressivo Sean Bean, prolifico caratterista di produzioni minori.
Esempio da imitare per le risibili e superficiali produzioni nostrane di pari rango.
C'è del marcio in Gran Bretagna.
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wolvie
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martedì 14 luglio 2020
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male assoluto
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Non è una visione semplice questo "Red Riding 1974", non può essere semplicemente catalogato come un giallo, anche se tutto muove dal ritrovamento di alcuni cadaveri, seviziati e violentati, di bambine scomparse.
Si toccano derive estreme di disillusione e cinismo come nei noir americani classici, ma senza nessuna forma di redenzione o buonismo indotto. Tutto è corrotto e malato, lo stesso protagonista, è un giornalistucolo ignorantello che si ritrova in un girone infernale dove il marcio dilaga: nell' imprenditore pedofilo e assassino, nella polizia corrotta e violenta, nei giornalisti accondiscendenti e nelle donne abusate, violate e fatte impazzire.
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Non è una visione semplice questo "Red Riding 1974", non può essere semplicemente catalogato come un giallo, anche se tutto muove dal ritrovamento di alcuni cadaveri, seviziati e violentati, di bambine scomparse.
Si toccano derive estreme di disillusione e cinismo come nei noir americani classici, ma senza nessuna forma di redenzione o buonismo indotto. Tutto è corrotto e malato, lo stesso protagonista, è un giornalistucolo ignorantello che si ritrova in un girone infernale dove il marcio dilaga: nell' imprenditore pedofilo e assassino, nella polizia corrotta e violenta, nei giornalisti accondiscendenti e nelle donne abusate, violate e fatte impazzire. Il male reagisce eliminando e torturando chiunque cerchi un po' di luce nell' oscurità assoluta.
Le torture inflitte al giornalista dai poliziotti risultano insopportabili, non perché la violenza mostrata sia eccessivamente gore, tutt' altro, ma perché le atmosfere lugubri che avvolgono le scene fanno da contrappunto, amplificando la deriva schizoide dei tutori dell' ordine.
Non resta che lasciarsi andare alla deriva del male, gesti estremi, nessuna redenzione, nessuna pietà.
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