ALI & AVA - STORIA DI UN INCONTRO, UN FILM STRAORDINARIO SULL’AMORE ACCIUFFATO NEI MINUTI DI RECUPERO

Un ragazzo e una ragazza, diversi per origini, storie personali, gusti musicali. Non li sceglieresti mai come protagonisti di una commedia romantica: e invece. E invece guarda lì che bellezza, che poesia, che vita che scorre, che si libera un minuto dopo l’altro nelle inquadrature di questo film. Al cinema.

Giovanni Bogani, domenica 17 aprile 2022 - Focus

Sono sbertucciati dalla vita, non li sceglieresti mai come protagonisti di una commedia romantica: e invece. E invece guarda lì che bellezza, che poesia, che vita che scorre, che si libera un minuto dopo l’altro nelle inquadrature di questo film. Sono fuori età, quasi fuori tempo massimo per immaginarsi capaci di amare ed essere amati. E invece.

A lei piace il folk e a lui il punk. Lui ha un berrettino rosso che lo fa sembrare un idiota, o l’Harry Dean Stanton spaesato e stravolto di Paris, Texas di Wim Wenders. Lui è pakistano. Lei è irlandese, cantava canzoni di lotta insieme al padre. Tutti e due un po’ fuori posto, oltre che un po’ fuori tempo massimo.

Sono diversi per origini, storie personali, gusti musicali. E non sono belli e giovani come Romeo e Giulietta, che in nome di un amore travolgente possono permettersi tutto, anche il corto circuito fra due mondi inconciliabili. Loro no: loro sono persone normali. Lui con entusiasmi da adolescente, anche se è già nella mezz’età. Lei è già nonna cinque volte. E invece.

E invece c’è un calore, una tenerezza prepotente, in Ali & Ava. No, non l’erotismo: qualcosa di più. La complicità che si riesce ad avere solo in rari, miracolosi casi, dopo tanto tempo insieme. Non erotismo, ma gentilezza e tenerezza. È questo l’orizzonte a cui tende il film. Molto più di ogni passione d’amore furente. E poi, tutto intorno, c’è la realtà. Realtà da respirare a pieni polmoni, come in un film di Ken Loach. Di cui, in qualche modo, la regista Clio Barnard è erede, narratrice della “working class” britannica. E ti viene in mente proprio un film di Loach, uno dei suoi più lievi, luminosi, meno aspri: Ae Fond Kiss, un bacio appassionato.

Siamo a Bradford, Yorkshire, nord dell’Inghilterra, fra Leeds e Manchester. Non il posto più ameno del mondo. O forse è il direttore della fotografia Ole Bratt Birkeland che rende la città una landa piovosa, in cui ogni speranza sembra essere quotidianamente dilavata.

È sotto uno scroscio di pioggia che ti gela le ossa, anche a vederla sullo schermo, che Ali e Ava s’incontrano: lui le dà un passaggio, un gesto di spontanea gentilezza, senza sottintesi: sotto quel diluvio lei con l’ombrello ridotto a poltiglia non rifiuta. Lei abita nel quartiere dove, per benvenuto, i ragazzini tirano pietre contro le auto degli sconosciuti: sorte che tocca anche a quella di Alì. Ma in quel momento il film prende il volo. Mentre i ragazzini tirano sassi allo straniero, Ali esce e stempera la tensione alzando il volume sulla voce di MC Innes, musicista amatissimo nel quartiere. È un attimo: i bambini posano i sassi e ballano, in una sequenza sul filo fra coreografia e caos. Ci sa fare, coi bimbi.

Lei è un’insegnante di sostegno, lui riscuote l’affitto delle case di famiglia: potrebbe quasi sentirsi “benestante”, realizzato. Ma la sua vera passione, la musica, l’ha confinata in garage, fra vecchi vinili a centinaia, microfoni, mixer. Il suo mondo è lì. E sua moglie lo ha lasciato da tempo, anche se vive ancora in casa con lui: una casa che è un abisso di desolazione. Lei, al contrario, a cinquant’anni ha una caterva di figli e nipoti: il marito – morto l’anno prima – la picchiava, e picchiava anche la figlia. Insomma: una gara di disagi.

Segue un film straordinario sull’amore acciuffato nei minuti di recupero – magari Yasujiru Ozu l’avrebbe chiamata “Tarda primavera” – che affronta le diversità di razza, le disillusioni della mezza età, l’ostilità delle rispettive famiglie. Ava è interpretata con charme e humour da Claire Rushbrook. Mai un ruolo da protagonista, prima: ma scopriamo che era la figlia di Brenda Blethyn in uno dei film più belli degli ultimi trent’anni, Segreti e bugie di Mike Leigh. Qui, dà corpo e sorrisi a un’anima generosa, dolce, intimamente giovane. Adeel Akhtar – era Mohammad in Victoria e Abdul di Stephen Frears – interpreta Ali. E porta nel film intelligenza, dignità, humour, lealtà, un’empatia immediata.

Il film nasce da storie vere, persone che la regista ha conosciuto mentre girava il film d’esordio, The Arbor, nel 2010 nello Yorkshire  dove sono ambientati tutti i suoi film, anche Dark River e The Selfish Giant. E, fra una battuta caustica e l’altro di Alì, squarciano l’anima i racconti di Ava, su una vita di violenze domestiche patite. Una brutalità che ritroviamo, ombra terribile, anche nel comportamento del figlio ventenne Callum: che in una scena tragicomica minaccia Ali niente meno che con una spada.

Viene da chiedersi se ci siano film che hanno assonanze con Ali & Ava. Sì. Viene alla mente, prepotente, un altro film strepitoso con un Alì protagonista: La paura mangia l’anima di Rainer Werner Fassbinder, premiato a Cannes nel 1974. In cui, ugualmente, una storia d’amore lega una donna di mezz’età e un immigrato. Ma in Fassbinder le due solitudini riescono solo per brevi tratti a superare i pregiudizi sociali, a non tener conto delle reazioni degli altri, dei pettegolezzi che soffocano, che possono rendere impossibile e tragico l’amore che una donna di mezz’età ha di nuovo la fortuna e il coraggio di provare.

A sua volta, il film di Fassbinder era un remake di un melodramma di Douglas Sirk del 1955, Secondo amore, con Jane Wyman e Rock Hudson, in cui una ricca vedova si innamora del figlio del giardiniere. Ma nel film di Sirk irrompevano tutti i meccanismi del tragico: il dolore di lei per l’indifferenza dei figli, lui che cade dalle rocce, l’armamentario del melodramma anni ’50.

Qui, nel film di Clio Barnard, c’è un racconto di rara naturalezza, continuamente stemperato dallo humour. Forse proprio perché nato da storie vere, il film è più naturale che programmatico, più “casuale” che “a tesi”. Ci sono, sì, tutte le tensioni create dalla differenza fra i due, tensioni che innervano il film, creano suspense. Ma non è lì il centro della storia. Che è dentro i due personaggi. E per chi non li conosceva, emergono tre rivelazioni: Claire Rushbrook, Adeel Akhtar e la regista Clio Barnard.

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