Brevemente, la trama: un pittore e una cantante, vittime dei paparazzi e del magazine scandalistico Amour che imbastisce uno scoop su una loro presunta tresca (in quegli anni era roba seria e le chiamavano così, c’era da perdere la reputazione, mica oggi che senza quello non si sfonda!).
Loro denunciano e un legale li difende, ma si vende alla controparte per i famosi trenta denari (tiene famiglia, nel senso che una figlia poliomielitica richiede cure, e dunque lo scenario è già migliore di oggi). Il finale sarà edificante.
Chiamiamolo “prove tecniche di trasmissione”. Il 1950 è l’anno di Rashomon, dunque un filmino “minore” ci sta, anche Omero a volte sonnecchiava.
Parliamo del grande Akira, però, e allora proviamo a guardare se anche in Shubun rintracciamo quel tocco qua e là, e se tutto quello che non funziona può tranquillamente essere bypassato.
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Brevemente, la trama: un pittore e una cantante, vittime dei paparazzi e del magazine scandalistico Amour che imbastisce uno scoop su una loro presunta tresca (in quegli anni era roba seria e le chiamavano così, c’era da perdere la reputazione, mica oggi che senza quello non si sfonda!).
Loro denunciano e un legale li difende, ma si vende alla controparte per i famosi trenta denari (tiene famiglia, nel senso che una figlia poliomielitica richiede cure, e dunque lo scenario è già migliore di oggi). Il finale sarà edificante.
Chiamiamolo “prove tecniche di trasmissione”. Il 1950 è l’anno di Rashomon, dunque un filmino “minore” ci sta, anche Omero a volte sonnecchiava.
Parliamo del grande Akira, però, e allora proviamo a guardare se anche in Shubun rintracciamo quel tocco qua e là, e se tutto quello che non funziona può tranquillamente essere bypassato.
C’è una sequenza, al centro del film: Aoye (un sempre splendido Mifune, qui appena trentenne) e Hiruta (Takashi Shimura, dopo due anni, in Vivere, sarà grande, qui esagera).
Sera di Natale, alticci dopo gran bevute alla festa, dove tutti sono molto, molto malinconici e cantano, cantano "Old Lang Syne" in formato giapponese (il film va visto sottotitolato, tra l’altro la voce di Mifune ha un timbro baritonale stupendo).
Fermi (si fa per dire, sono anzi molto traballanti) davanti ad uno stagno (la situazione sta precipitando, l’avvocato è in preda a sensi di colpa, si sente un verme e lo è, in effetti), il cielo è pieno di stelle che si riflettono nell’acqua torbida.
“Le stelle sono cadute in quest’acqua torbida” esclama Aoye.
Ultima battuta del film: “E’ nata una stella. Di fronte a questo tutta la nostra vicenda non conta nulla”, sempre Aoye alla stampa dopo il processo.
D’accordo su tutto l’apparato larmoyant del film, ma questi due momenti non suonano a vuoto, c’è una maliconia semplice, appena intravista, quella che nei film di Kurosawa non manca mai, di solito dietro le quinte.
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