Ieri sera ho avuto la fortuna di vedere in sala, a Bologna, L'invenzione del colpevole, di Luca Criscenti. Un documentario avvincente e di estrema attualità, che meriterebbe un posto in prima serata su un canale in chiaro del nostro benamato servizio pubblico (mamma RAI, per chi non l'avesse capito). Siamo nel 1475. La narrazione parte dal famosissimo caso di Simonino da Trento: un bambino, presunta vittima di omicidio rituale ebraico, venerato per secoli come “martire” innocente. L’omicidio rituale e la persecuzione del popolo ebraico nel corso dei secoli sono i temi principali del documentario, strettamente interconnessi. Il film, con rara maestria, restituisce allo spettatore la complessità della vicenda, approfondendo l’iter processuale che portò all’atroce morte di quasi tutta l’innocente comunità ebraica trentina. Non si scade mai nella semplificazione; al contrario, i fatti e il loro evolversi sono esposti con rigore e consapevolezza, sorretti da una salda impostazione storica – un vero sollievo, in un’epoca dominata dalla superficialità e dalle semplificazioni abborracciate. Un tratto distintivo del regista è proprio questo: saper dar voce ai documenti, alle fonti, possedere le chiavi per interpretarli nel loro contesto. Ma la storia, alcuni grandi lo insegnano, è sempre contemporanea. Il passato può essere compreso solo alla luce del presente. E Criscenti lo sa. Non cade nel tranello di rinchiudere la storia sotto vetro, in una teca museale. Ce la restituisce viva, vicina, insieme a una ridda di domande che risuonano tra le orecchie degli spettatori: Quale portata ha avuto, nei secoli, il mito dell’omicidio rituale? Come si è alimentato l’antisemitismo nella nostra società? Qual è il ruolo dei poteri costituiti – Stato, Chiesa, Giustizia – nella costruzione del capro espiatorio? Come nasce, e quali effetti ha, una mistificazione collettiva della realtà? Un film che spinge a pensare. E, di questi tempi, è salutare farlo. Aggiungo inoltre – e non è un aspetto marginale, visto che stiamo parlando di cinema e non di un volume di storia rinascimentale – che la narrazione si avvale di un linguaggio filmico dinamico, capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo. Lo fa combinando elegantemente materiali d’archivio e riprese dal vero, una polifonia di voci (azzeccatissima la scelta di Massimo Popolizio come narratore principale) e grafiche animate. Un film da non perdere. Una boccata d’ossigeno per i nostri neuroni, quanto mai necessaria in tempi così cupi e grevi.
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