La felicità in salsa agrodolce
di Lietta Tornabuoni La Stampa
In una piccola città céca di macerie e relitti, di case senza energia elettrica, di tetti che lasciano passare la pioggia, di supermercatini dagli scaffali vuoti, di fabbriche abbandonate, di regali natalizi miseri, ubriachezze tristi e vecchi che ballano, «La gente riesce a trasformare la propria vita in un inferno, abbiamo un talento speciale per farlo», dice un emigrato in America. Il secondo film del regista céco Bodhan Slama, Una cosa chiamata felicità (il titolo originale, Stetsi, felicità, ha l'asprezza sarcastica di Happiness di Todd Solondz) rivela un'estrema sensibilità e una vera maestrìa nella direzione degli attori. [...]
di Lietta Tornabuoni, articolo completo (1676 caratteri spazi inclusi) su La Stampa 12 maggio 2006