COMPIE UN SECOLO IL GRANDE GATSBY, INCANTO DELLA LETTERATURA

Baz Luhrmann è autore dal linguaggio (ultra)personale, ma Il grande Gatsby è una storia che sa benissimo tutelarsi da sola. Di Pino Farinotti.

Pino Farinotti, lunedì 10 marzo 2025 - Focus
Leonardo DiCaprio (Leonardo Wilhelm DiCaprio) (50 anni) 11 novembre 1974, Los Angeles (California - USA) - Scorpione. Interpreta Jay Gatsby nel film di Baz Luhrmann Il grande Gatsby.

Premessa da "coro greco". Quando mi si domanda quali sono gli autori indispensabili da seguire dico: Woody Allen, Wim Wenders, i Coen e, in lista d’attesa, Baz Luhrmann.

Domenica 9 marzo RaiMovie ha proposto Il grande Gatsby, nella versione di Baz Luhrmann. Era più che doveroso perché ricorrono i cento anni dalla pubblicazione del romanzo di Scott Fitzgerald, considerato da una corrente prevalente, apicale nella letteratura americana del Novecento. 

La cadenza dei rifacimenti di “Gastby” presenta quattro film. Il primo Fitzgerald fece in tempo a vederlo. L’edizione, del 1926, era firmata da tale Herbert Brenon, un mestierante di non grande talento. La pellicola è andata perduta. Ma nel ‘49 la Paramount e organizzò una produzione all’altezza. Affidò la regia a Elliott Nugent, ottimo artigiano, e il ruolo di protagonista ad Alan Ladd. L’attore era perfetto. La sua vicenda aveva punti in comune con quella di Gatsby: famiglia povera e fortuna cercata un po’ dovunque prima di approdare a Hollywood. Non lo conobbe, ma a Fitzgerald, Ladd sarebbe piaciuto. Non alti di statura, biondi, occhi azzurri, tristi e tormentati il giusto. Un quarto di secolo dopo, ancora la Paramount decise per il remake, diede la regia a Jack Clayton e il ruolo a Robert Redford. I personaggi principali del romanzo, oltre a Gatsby, sono, Tom Buchanan, il ricco marito di Daisy, e Nick Carraway, il narratore, cugino dei Buchanan che diventerà amico di Gatsby. 

L’ultimo “Gatsby” è stato affidato a Leonardo DiCaprio. La scelta è buona. Il 38enne Leonardo possiede quella cifra opportuna di ansia che lo rende perfetto per il “febbrile” arrampicatore Gatsby. Al suo primo sguardo, magnetico, con la coppa in mano, quando dice a Carraway “Sono io Gatsby”, DiCaprio ti consegna il proprio destino. 
A Daisy Buchanan dà corpo e volto Carey Mulligan, più “bambola” della sua omologa Mia Farrow che certo possedeva maggiore appeal, ma che aderisce perfettamente alla “bambola” Daisy. Tobey Maguire, il narratore, è un altro carattere al posto giusto, è la spalla perfetta di Gatsby. 
Baz Luhrmann è autore dal linguaggio (ultra)personale e aggressivo. Ama ridurre le storie a propria immagine e somiglianza. Ma Il grande Gatsby è una storia che sa benissimo tutelarsi da sola.

Romeo e Giulietta è la più bella storia d’amore mai raccontata. 
Rappresentata infinite volte secondo stagioni, evoluzioni, sociale, storia, estetica. 
Luhrmann governa la sua vocazione “ribelle” in Romeo+Giulietta dove i due innamorati si muovono a tempo di rock, in una Los Angeles di adesso, ma dove viene rigorosamente rispettato il testo del bardo. Mai il cinema è entrato tanto pesantemente su un testo classico come in questo caso. E parlando di qualità, Luhrmann ha ritradotto con grande talento, quasi genialità: la famosa scena sul balcone avviene invece in una piscina e uno dei personaggi più importanti, Mercuzio, è proposto come un divertente, trasgressivo gay. Credo che Shakespeare avrebbe… tollerato.

Timore. Sempre lo scrittore teme il regista, soprattutto quando il regista intende sostituirsi allo scrittore privilegiando la propria firma. Il Gatsby di Baz Luhrmann ha raccolto molte critiche, scarsi favori, ma io dico che Scott non si sarebbe offeso. Iperbole, carnevale, eccesso, magniloquenza, sfarzo, frenesia, ipertrofia: tutto questo è stato attribuito al film, ed è legittimo non c’è dubbio, ma trattasi di contorno, certo eclatante e invasivo, della sostanza. Ma la sostanza, la il master di scrittura, possiedono troppa potenza e perfezione per essere stravolte. Quel romanzo è davvero impossibile contaminarlo, incrinarlo, deformarlo: tutto questo è accreditato, è “storico”. Per sua natura il cinema tutto può permettersi. Il leone della Metro Goldwyn Mayer è il modello perfetto della formula del cinema e della sua imperfezione: un leone ruggente contornato da un nastro di pellicola che reca le parole latine “ars gratia artis”, una sproporzione di estetica, di cultura, ma anche una promessa di spettacolo certificata dalla dotazione hollywoodiana. Com’è questo Gatsby, dove tutto ingigantisce e assume colori violenti e contro natura: charleston e fox trot accelerano come un’animazione, le bottiglie di champagne sono grandi come persone e i diamanti grandi come il Ritz, le tende ondeggiano come falene giganti, l’orchestra suona su una piattaforma che conterrebbe il Madison Square Garden, i camerieri si muovono come danzatori discreti di seconda fila, la pioggia evita di bagnare il trucco e le scarpine delle dame. Ogni carattere e ogni vicenda sono spinti all’estremo. Tom Buchanan, che sposa Daisy, è descritto come uno dei “patrimoni più cospicui del Middle West”, nel film diventa l’erede della più grande fortuna d’America. 

Tutto quell’eccesso sarebbe stato gradito da Gatsby, che avrebbe assistito con curiosità, dal suo angolo nascosto, alle feste del film, che sono più ricche delle sue. Dunque, il suo sogno disperato di rivivere il passato, di ritrovare Daisy come l’aveva lasciata cinque anni prima, ritrovarla da ricco come lei meritava, era cullato, era racchiuso in una confezione ancora più elegante e clamorosa, foriera di promesse e felicità maggiori.

Una volta accettati contorno e codici ecco irrompere il regista con le sue licenze e contaminazioni e la riscrittura della scrittura di Fitzgerald. All’idea che l’io narrante, Nick Callaway, diventi scrittore per raccontare la vicenda che gli ha cambiato la vita viene dato risalto. Vedere Tobey Maguire, che fa Nick Carraway, sulla macchina da scrivere può essere un altro momento di suggestione, perché Tobey, vagamente, assomiglia a Scott. La licenza della riscrittura, temeraria, vale la pena di rilevarla. Dagli incipit.

Fitzgerald:
Quand’ero più giovane e indifeso, mio padre mi ha dato un consiglio che ho fatto mio da allora. “Tutte le volte che ti viene da criticare qualcuno”, mi ha detto, “ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu”.
Non ha detto nient’altro, ma siamo sempre stati insolitamente comunicativi in modo riservato, e capii che intendeva molto più di questo. Di conseguenza tendo a evitare ogni giudizio.


Luhrmann:
Negli anni in cui ero più giovane e vulnerabile, mio padre mi diede un consiglio: cerca sempre di vedere il lato migliore della gente, disse. Di conseguenza tendo ad astenermi dai giudizi.

E fin qui ci siamo direi. La voce continua:

A quei tempi tutti noi bevevamo troppo, più eravamo in sintonia coi tempi, più bevevamo, e nessuno di noi ha portato qualcosa di nuovo.

Il testo è efficace, anche se non è “Fitzgerald”. Da rilevare invece una frase del film riferita al Jay giovane e ambizioso, “ricco solo della percezione della propria grandiosità”, ecco queste parole avrebbero potuto essere dello scrittore. 
 
Le musiche. Negli anni Venti c’erano grandi compositori –Gershwin, Porter, Berlin, Kern, e altri-  che dettarono regole e melodie, e c’era il jazz, e proprio così si chiamava quell’epoca, “età dal jazz”, e poteva tutto comprendere, altra musica non occorreva. Qui arriva prepotente l’assalto di note, di strumenti e di decibel, omologo a tutto il resto. Ipertrofia. E’ stato adattato un genere chiamato hip pop e voci conseguenti, al jazz naturale. Un vasto serraglio che però, ribadisco, si fa accettare. Le feste, e il mondo stesso di Gatsby erano un serraglio, così come il cinema è un serraglio, ed è una confusione preconcetta che può contenere tutto, dunque tutte le musiche. Certo quando irrompe Gershwin, con la sua rapsodia, irrompe anche quella sua grazia esclusiva, perché dovunque lo collochi, quel musicista trova cittadinanza e domina la scena

Gli autori hanno chiuso il film con il finale del romanzo, non lo hanno toccato, ma non potevano fare altro. Non avrebbero osato. Dunque mentre la voce racconta, si formano anche le parole della macchina da scrivere. Parole incantate della letteratura universale. 

Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgiastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi. Allora ci è sfuggito, ma non importa: domani correremo più forte. Allungheremo le braccia ancora di più… E un bel mattino.
Così navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato
.”      

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