I nuovi episodi tirano le fila se non sulla Storia d'Italia, almeno sulle vicende dei tre protagonisti. Dal 4 ottobre su Sky.
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"Volevamo raccontare una rivoluzione mancata: e dopo la Rivoluzione e il Terrore, ecco la Restaurazione". Il produttore Lorenzo Mieli riassume così la trilogia di Sky iniziata con 1992, passata per 1993 e giunta trionfalmente al 1994. Tre anni per raccontare un momento clou della Storia d'Italia: grandi inchieste, alleanze strategiche, ribaltoni e un cambiamento mai realmente avvenuto. Se qualcuno ci vede un prototipo della contemporaneità è perché la Storia tende a ripetersi, e mostrarne i meccanismi, come ha fatto la trilogia nata da un'idea di Stefano Accorsi - come i titoli di testa sottolineano all'inizio di ogni episodio - "aiuta a individuarne i segni sul presente, nel nostro modo di vivere", afferma Mieli.
I tre interpreti sono sempre gli stessi: Stefano Accorsi, Miriam Leone, e uno strepitoso Guido Caprino, fra i migliori attori italiani nella sua fascia anagrafica. Accanto a loro c'è il morphing infallibile di Paolo Pierobon in Silvio Berlusconi, solo uno dei tanti personaggi reali della vicenda "liberamente rielaborata e romanzata" dalla trilogia della rivoluzione mancata, che in questa tranche finale cambia struttura narrativa, passando da una sceneggiatura corale a un protagonista o un momento storico a puntata.
1994 passa dal famoso dibattito fra Achille Occhetto e Silvio Berlusconi condotto da Enrico Mentana all'incontro fra Bossi e Mister B in Costa Smeralda in cui si suggellerà l'unione Lega-Forza Italia, fino all'avviso di garanzia al Presidente del Consiglio e alla caduta del governo. Accanto a Silvio Notte tiene un piede dentro e uno fuori dalle patrie galere, e "vuole decidere i ministri" più che fare il ministro lui stesso, come un Jep Gambardella con sede operativa a Montecitorio. Il mastino Bosco cerca di ricordare al Senatùr il suo celodurismo e il patto con i cittadini (almeno quelli padani). In mezzo a loro Veronica: no, non quella che liquiderà il premier con una lettera a Repubblica, ma quella che si destreggia fra un uomo che l'accetta per come è e un altro che la spinge a diventare migliore, e che si impegnerà in politica per difendere i diritti delle donne, "perché ha conosciuto la violenza di genere e la discriminazione in quanto donna", ricorda Miriam Leone.
La regia questa volta è a due mani: Giuseppe Gagliardi, che ha impostato lo stile di tutta la serie incorporando anche la lezione sorrentiniana, e Claudio Noce. E se Gagliardi ha acquisito abbastanza confidenza per permettersi un inizio di episodio (il quinto) alla Viale del tramonto, Noce appare meno disinvolto, più preoccupato di raccontare le ombre all'interno dei palazzi che la seduzione di tutti nei confronti di tutti.
Il trio di sceneggiatori - Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo e Alessandro Fabbri - persevera nel lavoro di tessitura fra vicende reali e fiction, citando Bukowski e inserendo in copione interventi musicali che spaziano da Resta cu mme al Nessun dorma interpretato da Pavarotti: un inno vittorioso per un gruppo di perdenti che scendono in campo per non finire all'inferno. Questa è gente che non si lava le mani dopo aver fatto pipì, e quelle mani le usa per stringere altre mani sporche. È gente che concepisce il voto come merce scambio di favori o di dispetti - decreti salvaladri, leggi antitrust, riforme costituzionali - ed è disposta a cambiare tutto purché tutto rimanga uguale per gli happy few, sempre gli stessi, più qualche new entry. "Nessuno si era preso la briga di raccontare questi uomini nuovi", afferma Mieli. E il loro sottomondo di "soubrette fallite": di cui 1994 sottolinea molto bene la vanità da teatranti e l'esibizionismo.
Alla fine i nodi vengono al pettine, le varie linee narrative e i personaggi seminati lungo la narrazione confluiscono e si incontrano, seguendo una partitura musicale che è un vero comprimario. Certo, ci sono i momenti feuilleton - le gravidanze inattese, le lacrime a fior di ciglio - ma la trama descrive bene certe azioni politiche spregiudicate e certi "stalli messicani", inserendo gustose carrambate (il cammeo di Luca Zingaretti nei panni di Paolo Mieli, papà del coproduttore) e "indovina chi". E l'educazione politica (e sentimentale) dei tre protagonisti arriva al compimento con tutto il suo costo umano e personale, come si conviene ad un romanzo d'appendice che ha l'ambizione di raccontare un'epoca.