IL RAPIMENTO DI ARABELLA, UN CINEMA DI SDOPPIAMENTI, DI SOGNI E DESIDERI PERDUTI

Il secondo film di Carolina Cavalli è un on the road visionario in cui la regista rinnova la collaborazione con Benedetta Porcaroli -  miglior attrice della sezione Orizzonti alla 82a Mostra del Cinema di Venezia - dopo Amanda. Dal 4 dicembre al cinema.

Simone Emiliani, venerdì 14 novembre 2025 - Focus
Benedetta Porcaroli . Nel film di Carolina Cavalli Il rapimento di Arabella. Al cinema da giovedì 4 dicembre 2025.

Una donna e una bambina si guardano. È il loro primo incontro. Non si erano mai viste prima e nessuno sa niente dell’altra. Dopo i due prologhi che introducono le figure di Arabella e di Holly, inizia un viaggio irreale.

È uno strano rapimento quello al centro de Il rapimento di Arabella, il film di Carolina Cavalli, al suo secondo lungometraggio dopo Amanda, dove continua la sua collaborazione con Benedetta Porcaroli. Le due protagoniste attraversano degli spazi che oltrepassano la loro dimensione realistica e vengono percepiti, mostrati, immaginati come astratti. Holly ha 28 anni, e si sente spesso inadeguata come se la sua vita avesse preso un’altra strada rispetto a quella che si era immaginata. Lavora presso una pista di pattinaggio. La sua testa però è spesso altrove. Il suo corpo è da una parte, la sua mente dall’altra. Anche Arabella, pur essendo una bambina, già manifesta segnali di profondo malessere. Nel corso di un ricevimento urla al padre, uno scrittore di successo, il nome di Jonathan Frazen. Forse per provocarlo, forse per provocare in lui una frustrazione e inadeguatezza.

Il rapimento del titolo è solo una traccia. Quella di Holly e Arabella è soprattutto una fuga. Comincia come una bugia che è una specie di inconscio desiderio; Arabella infatti dice ad Holly di chiamarsi come lei. A sua volta, la giovane donna rivede in lei sé stessa quando era bambina. Forse nel film di Carolina Cavalli, anche sceneggiatrice, ci sono suggestioni del cinema e della letteratura statunitense. Un po’ la stilizzazione e i toni guardano da una parte ai fratelli Coen, un po’ l’attrazione degli opposti tra Un mondo perfetto di Clint Eastwood e Una notte d’estate - Gloria di John Cassavetes. Non sono né citazioni, neanche modelli (in)consapevoli. Appaiono più che altro come i tantissimi e possibili frammenti di un immaginario che rielabora in modo visionario/onirico le forme del road-movie: la macchina scoperta, i motel, la piscina, il bagagliaio dell’auto, il titolo del giornale sulla bambina scomparsa.

A questo s’intreccia una dimensione da fiaba nera, evidente già con il cappello della proprietaria della pista di pattinaggio dove lavora Holly, una specie di Willy Wonka nel corpo di Crudelia De Mon e poi i capelli (parrucca?) del commesso di Taco King. Del cinema on the road Cavalli asciuga, scarnifica, riduce all’osso tutta la tensione. Più che il climax, punta soprattutto a creare una dimensione spazio-temporale quasi inconsistente, dove le due protagoniste sono continuamente alla ricerca della loro identità. La stessa che cerca il cinema della regista che mescola suggestioni, simbolismi, slanci autoriali e la ricerca di una forma intenzionalmente non definite, per entrare e perdersi nelle strade perdute di una creatività che gioca proprio sulla mancata armonia tra la scrittura e la sua messa in scena.

È un cinema di sdoppiamenti, di sogni e desideri perduti, come mostra tutta la sequenza del matrimonio in cui c’è quella felicità illusoria che si manifesta, esplode e poi scompare in un tempo velocissimo. Restano gli occhi, anzi i dettagli sugli occhi. Di Arabella, interpretata da Lucrezia Guglielmino che subito tiene testa a Chris Pine nel ruolo del padre. Di Holly, ruolo con cui Benedetta Porcaroli è stata premiata come migliore attrice della sezione Orizzonti alla 82° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il dialogo tra le due protagoniste è continuo, anche nelle incomprensioni e nei silenzi. Gli altri personaggi, da quelli interpretati da Marco Bonadei, Eva Robin’s e Roberto Zibetti, possono essere reali o anche i fantasmi di un cinema che affronta i generi come proiezioni di un inconscio.

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