J. D. SALINGER, IL MITO CHE NON VOLEVA ESSERE DISTURBATO

La rivoluzione de "Il giovane Holden" e i film che hanno raccontato lo scrittore. Ultimo esempio: Un anno con Salinger, dall'11 novembre al cinema.

Pino Farinotti, mercoledì 10 novembre 2021 - Focus
Margaret Qualley (Sarah Margaret Qualley) (30 anni) 23 ottobre 1994, Kalispell (Montana - USA) - Scorpione. Interpreta Joanna nel film di Philippe Falardeau Un anno con Salinger.

J.D. Salinger è lo scrittore che ha cercato di non avere visibilità, di non essere disturbato, di isolarsi dal mondo, eppure è il più raccontato dalla letteratura e dai film. Certo era un tipo interessante. Non solo grande autore e inventore. L’ultimo racconto col protagonista contumace è Un anno con Salinger (guarda la video recensione) per la regia di Philippe Falardeau, dove la giovane Margaret, che lavora in un giornale - siamo negli Anni Cinquanta - ha l’incarico di rispondere alle lettere che chiedono notizie di Salinger, lo scrittore più popolare in quel momento. Ed ecco che la ragazza si trova ad evocare il fantasma di Salinger, l’unica possibilità di rapportarsi con lui. Sì, un richiamo alla modalità di Woody Allen, con Bogart, in Provaci ancora, Sam

Fra i tanti film o documentari che riguardano lo scrittore sono ricordabili Il mistero del giovane Holden, del 2013, diretto da Shane Salerno. Trattasi di opera completa, che coinvolge tanta gente che ha conosciuto Jerome, anche da vicino. Ma lui è sempre là nel suo rifugio di Cornish nel New Hampshire. Interessante è il segmento che riguarda il soldato Salinger che in quel fatidico 6 giugno 1944 si trovò a sbarcare in Normandia e poi, per la sua conoscenza della lingua, a interrogare i prigionieri tedeschi. Uscì da quell’esperienza con traumi che non superò mai del tutto. Di un certo interesse è Rebel in the Rye, per la regia di Danny Strong che racconta una parte della vicenda di Salinger, dando spazio alla sua storia d’amore con Oona O’Neill. Storia infelice perché lei gli preferì Charlie Chaplin. Non si può non menzionare Scoprendo Forrester, del 2000, di Gus Van Sant, con Sean Connery che, semplicemente, fa Salinger.  Jamal Wallace è uno studente sedicenne di colore del Bronx con una grande passione per la letteratura. Cerca di entrare in contatto con William Forrester, uno scrittore che dopo aver vinto il Premio Pulitzer con l’unico libro pubblicato, era poi scomparso e nessuno ne aveva saputo più nulla. L’autore, all’inizio è un vero orso, ma poi si rende conto del talento del ragazzo e lo sostiene. Indimenticabile l’episodio in cui Forrester-Salinger dopo essersi fatto riconoscere, nell’aula magna della Columbia University, legge un brano di grande qualità attribuendolo all’inizio a sé stesso, rivelando alla fine che è di Jamal.

Istantanea
Ed ora una istantanea su J.D. Salinger. Al centro, naturalmente "Il giovane Holden". Premessa: "Il pozzo e il pendolo" (Poe), "Moby Dick" (Melville) , "Huckleberry Finn" (Twain); "Giro di vite" (James), "La lunga estate calda" (Faulkner), "Il grande Gatsby" (Fitzgerald), "Il grande sonno" (Chandler); "Addio alle armi" (Hemingway), "La valle dell’Eden" (Steinbeck), "Colazione da Tiffany" (Capote), "Il nudo e il morto" (Mailer), "Lolita" (Nabokov), "Il crogiuolo" (Miller), "Un tram che si chiama desiderio" (Williams), "Greystoke" (Burroughs), "Jurassic Park" (Crichton), "Shining" (King). Trattasi di romanzi e drammi teatrali fondamentali, così come le firme. Americani. La selezione è naturalmente parziale e arbitra­ria. Il concetto è “a campione”. Questi romanzi e questi drammi sono diventati film. L’assunto è: tutti i grandi romanzi americani sono diventati film. Tranne uno. Perché?
 

Una corrente di giudizio, autorevole, ritiene che "Il giovane Holden" di J.D. Salinger, sia il più importante romanzo americano del ’900. An­che se dire “il più” è arbitrario e pericoloso. In arte e in letteratura non ci sono misure esatte naturalmente, tuttavia se un romanzo ha inquadrato un sentimento e poi lo ha scomposto e poi trasformato, quello è certamente "Il giovane Holden". È la storia di un adolescente a disagio, che contesta tutto ciò che gli sta intorno. A cominciare dai genitori. La cosiddetta rivoluzione giovanile, attraverso corsi e ricorsi del secolo scorso, non può non riconoscere in quel breve ro­manzo una sorta di primo motore. La genesi, la scrittura, il destino di quel testo, e poi l’autore, personaggio complesso e misterioso: se il termine “mito” ha un senso, ebbene tutto si è mosso in quella direzione. La storia ci dice che il mito c’era e c’è, ed è legittimo.
 

Il Celebrity Group, casa di produzione indipendente con sede a New York, è stata l’ultima società a chiedere i diritti del libro. Non li ha ottenuti. Per il cinema si erano già mossi, nei decenni, Samuel Goldwyn, Wilder, addirit­tura Jerry Lewis, e poi Spielberg, Jack Nicholson e Tobey Maguire. Inutilmente. Salinger ha respinto tutti, con perdite gravi. C’è una ragione precisa. Nel 1947 affidò alla RKO il suo racconto "Lo zio Wiggily nel Connecticut". Due anni dopo uscì il film Questo mio folle cuore, che aveva stravolto il plot e il linguaggio del master letterario. Lo scrittore giurò che mai più avrebbe concesso qualcosa di suo al cinema. E così è stato.

Leggenda
"The Catcher in the Rye" è il titolo originale del “Il giovane Holden”. Ma perché tanta popolarità e leggenda? Qual è il sortilegio che ap­partiene a quel libro? Prima di tutto lo stile: niente, proprio niente di letterario. L’incipit vale più di tutte le analisi. “Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa face­vano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto”.

Holden Colfield parla come un ragazzo. Salta all’occhio. E poi: qual è la struttura della storia? Quali sono le avventure mirabolan­ti che scuotono tanto in profondità la coscienza del lettore? Niente di mirabolante. Trattasi di piccole vicende quotidiane: Holden viene espulso dal collegio; litiga con un compagno; fugge durante la notte: una piccola sbor­nia; il primo approccio (non consumato) con una prostituta; la fuga dai genitori; il guantone da baseball-feticcio ricordo del fratello morto; l’affetto per sua sorella che fa da mediatrice; il vecchio insegnante ritrovato; il progetto di fuga totale; il ripensamento finale grazie alla sorella. Vicende minime, ma decisive e perfette, neces­sarie&sufficienti. A tutto questo naturalmente si lega l’incanto non definibile che produce il fenomeno. Vale per tutto, la musica, e tutte le arti. Il ragazzo Holden semplicemente assumeva tutti i sentimenti dei suoi pari: si chiama identificazione. Da allora, fino a oggi, quel modello è vivo e presente, si fa vedere e sentire, non gli sfuggi. Il libro è del 1951.

Il rock
Un paio d’anni dopo, la musica fa la sua rivoluzione: il rock, Pre­sley e tutti gli altri. Guastatori. Elvis era un ventenne, “quasi” un adolescente, ma i termini non mutano. Poco dopo il cinema produ­ce i suoi nuovi eroi giovani, James Dean in testa, portatore di ogni disagio e rivendicazione, ribelle totale. È anche la stagione inglese degli arrabbiati (Angry young man) rappresentati dal teatro di John Osborne: “quelli che odiavano tutte le convenzioni”. E nel 1957 ecco un nuovo romanzo, in un certo senso figlio di “Holden”, "On the road", dove Jack Kerouac traccia una nuova idea di ribellione.

Mentre l’adolescente Holden Caulfield, non sopporta i modelli dell’autorità – ge­nitori, insegnanti – la ribellione di Kerouac, riguarda una fascia particolare, una certa casta. Sono i giovani portati a una estrema ricerca personale, antropologica, dolorosa, praticabile solo se sei un prescelto. Non era questione di genitori o di padroni, era una vicenda di “se stessi”, con un progetto finale, radicale come una missione, con la marijuana invece della fede. Il resto era girare il mondo, con­frontarsi coi propri (pochi) simili, rifiutare non solo il sogno ame­ricano dei dollari, ma procurarsi quel poco che serviva caricando sacchi, pulendo cessi o servendo a un bar. Per poi partire per un altro viaggio, magari in autostop, sdraiati su un furgone guardando le stelle con l’opportuno additivo visionario.
Poco dopo la ribellione oltrepassò la fiction quando i giovani delle università americane, e anche italiane, diedero vita a quel movimento globale detto il Sessantotto.

"Il giovane Holden" manterrà quel distacco esclusivo. Anche questo è mito, e continuerà, sempre, a nutrire il romanzo. La letteratura che difende la propria identità e la propria purezza. Nessuna licenza e contaminazione. “Niente cinema per il romanzo più grande e cine­matografico”: alla fine, per una volta, è una bella didascalia.

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