Gli Ottanta cambiano a seconda del punto di vista, ma il rock è un seme impossibile da estirpare a qualsivoglia latitudine e sotto qualsiasi regime.
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La grande domanda del cinema sul rock è sempre la stessa: come filmare la musica? Non è una domanda peregrina, visto che - tra documentario e finzione - le modalità con cui mettere in scena il sentimento musicale e l'esecuzione tecnica sono innumerevoli, e non di rado in contraddizione tra di loro. Nel suo struggente Nico, per esempio, Susanna Nicchiarelli ha intuito che la musica è tutt'uno con il suo performer e i luoghi in cui si esprime. E dunque il malinconico tour europeo della cantante affaticata, in un clima di epoca al tramonto nei territori del comunismo in disfatta, donava note ancora più lancinanti ai pezzi dell'artista tedesca.
Quelle atmosfere non sono troppo lontane da quelle che si respirano in Summer (guarda la video recensione) di Kirill Serebrennikov, ispirato al periodo giovanile del cantante rock russo Viktor Coj. I live con i funzionari di partito a controllare le reazioni degli appassionati, l'orizzonte climatico e urbano grigio e infelice, il rapporto improvviso e inatteso tra le sonorità della new wave e il paesaggio industriale, e così via. Di diverso c'è invece l'età anagrafica dei protagonisti, Mike e lo stesso Viktor, e della formidabile Natasha, ragazza al tempo stesso con la testa a posto (è una giovane madre) e con la passione - anche erotica - dell'antagonista.
Non importa che la fotografia richiami Control di Anton Corbijn (dedicato a Ian Curtis e ai Joy Division attraverso un bianco e nero simile ma più metallico), o che fin troppo apertamente Serebrennikov attui una versione light degli stilemi Nouvelle Vague - o che alcuni siparietti grafici gravitino in maniera un po' sospetta nelle zone oleografiche di Julien Temple o di Across the Universe di Julie Taymor. Quel che conta, come in fondo accade con tanti album rock magari non perfettamente riusciti o tecnicamente rivedibili, è il "tiro" e la capacità di rendere credibili cose, personaggi, ambienti.
Inoltre, la cultura musicale di Serebrennikov mostra una competenza divulgativa adeguata, così come lo scandaglio sul trapasso tra sonorità anni Settanta e nuovi stili degli anni Ottanta.
E qui forse diventa suggestivo tracciare per Summer una diagnosi differenziale.
Gli anni Ottanta sono da qualche tempo oggetto di una forte riconsiderazione storica. Da decennio del riflusso ideologico e dell'addio alle utopie - secondo una lettura storiografica troppo legata al decennio precedente - quello ottantesco è divenuto un periodo di dense riflessioni. Se prima prevaleva una linea "discontinuista" (gli anni Ottanta come funerale dei Settanta e momento di cesura netta), ora si riguarda con più serenità alle forme di continuità col passato e alle metamorfosi culturali.
Si tratta - come ormai quasi tutti ammettono - di un periodo fertile e colmo di novità, anche se ovviamente assai meno sensibili di prima alle rivoluzioni politiche. Lo sperimentalismo si allea con le industrie culturali, e la musica (come del resto la moda, sempre ignorata nei discorsi artistici) vive un periodo di eccezionali riconfigurazioni. Summer offre un punto di osservazione diverso e conferma che gli Ottanta cambiano a seconda del punto di vista, ideologico o geografico, con cui li si guarda. Unica certezza: il rock è un seme impossibile da estirpare a qualsivoglia latitudine e sotto qualsiasi regime.