THE NEON DEMON, IL FILM CHE BUSSA ALLE PORTE DI PRADA E DIOR

Nel film di Refn la moda è un pretesto per virare sulla bellezza, che mescola Cronenberg, Soderbergh ed elementi di Dario Argento.

Roy Menarini, domenica 12 giugno 2016 - Focus

Tra cinema e moda i frequenti rapporti sono giustificati non solo dalla condivisione di uno spirito rappresentativo e trasformativo nei confronti della società e dell'individuo, ma anche dalla similitudine delle due industrie creative. Esse - legate anche da una storia di resistenze da parte delle élite culturali rispetto al loro statuto artistico - trovano nell'innovazione culturale e nell'ispirazione sulle identità un ruolo fondamentale, nel Novecento e ancora oggi.

The Neon Demon è un film sulla moda? Difficile dirlo. Certamente è ambientato nel mondo delle modelle e della fotografia di moda di Los Angeles, e dunque - che Nicolas Winding Refn lo voglia o meno - dobbiamo osservare il suo film anche da questo punto di vista.
Roy Menarini

La moda del resto trova nel cinema, e oggi sempre di più, un repertorio impareggiabile di ispirazione. Basti pensare al mondo di Wes Anderson, cineasta che meglio di tutti sembra declinare in questi anni una relazione densa e produttiva con le fashion house e con la storia della moda e del design. Interessa forse di più a Refn quel rapporto tra icona, corpo e abito, capace di trascinare con sé forme carismatiche di estetica cinematografica. Dal ricorso al modello neorealista per le campagne "siciliane" di Dolce & Gabbana alle collezioni di Jean Paul Gaultier, Valentino e Alexander McQueen ispirate a Il cigno nero di Darren Aronofsky (il film contro cui The Neon Demon sembra ingaggiare una propria lotta personale), fino a quelle di Thom Browne chiaramente influenzate dalla saga di Hunger Games, gli ultimi anni hanno visto moltiplicarsi le occorrenze - e non parliamo ovviamente di tutta la produzione "a margine", più o meno direttamente gestita dalle case cinematografiche: t-shirt, accessori, gadget, abiti per bambini e così via, legata per lo più ai blockbuster.

In foto Elle Fanning in una scena del film.
In foto Elle Fanning in una scena del film.
In foto Elle Fanning in una scena del film.

Purtroppo, Refn - e non è certo il primo a cadere in questo errore - non sembra affatto rispettare il mondo della moda, che al cinema giunge quasi sempre in forma distorta o parodistica (gli esempi di Pret-à-porter, Il diavolo veste Prada e Zoolander, per quanto punteggiati da cameo di stilisti e modelle avidi di un'inquadratura hollywoodiana, parlano chiaro quanto a presa per i fondelli del fenomeno). Quel che è più problematico, è che il regista danese non pare intuire alcun cambiamento nella moda tra un decennio e l'altro. The Neon Demon avrebbe potuto essere ambientato nel 1966 di Blow-Up, negli anni Ottanta di Sotto il vestito niente o negli anni Duemila di Bling Ring (il film alla lunga più lucido e corrosivo sul feticismo contemporaneo), senza che nulla cambi di una virgola. Dunque, pare evidente che la moda - con il suo banale correlato di discorsi sulla chirurgia estetica, sulla magrezza del corpo e così via, in un crescendo di dialoghi a tratti imbarazzanti - sia solamente un pretesto.

Man mano che il film procede, Refn vira verso un film sulla bellezza, che mescola ascendenze cronenberghiane, astrazioni alla Soderbergh (la musica di Cliff Martinez ne è costola immediatamente riconoscibile), elementi vicini a Dario Argento, Brian De Palma e Paul Schrader, quest'ultimo in particolare pensando a Il bacio della pantera.
Roy Menarini

Premesso che, prevedibilmente, il film viene rifiutato dal pubblico quasi in blocco, a che cosa punta Refn con questa operazione prodotta da capitali misti e con distribuzione a macchia di leopardo? Suicidando metaforicamente il proprio statuto di regista cult spendibile sui grandi mercati, con Solo Dio perdona a The Neon Demon forse Refn mira all'inclusione nel pantheon dei cineasti sospesi tra arte contemporanea e horror d'avanguardia. Alla fine, tuttavia, egli sembra più che altro bussare alle porte di Prada o Dior per farsi finanziare futuri fashion film, che l'industria della moda produce in gran numero, e spesso risultano più riusciti e inquietanti di The Neon Demon.

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