L’artista è protagonista di un documentario musicale inconsueto da cui emerge un talento naturale e controcorrente, con idee chiare e ambizioni internazionali. Disponibile in streaming su Mubi.
Al Festival dei Popoli di Firenze, alla prima di Antipop, film di Jacopo Farina dedicato alla vita di Cosmo, ho potuto assistere di persona all’entusiasmo contagioso dei fan e a come si possa creare un seguito virale e generazionale presso il pubblico senza svendere un’oncia della propria credibilità di artista. Anche oggi, nel mondo dei social, influencer e Tik Tok, si può.
Antipop di Jacopo Farina getta uno sguardo inedito e inconsueto, lontano dalle tradizionali biografie musicali, sulla vita di provincia che ha portato Cosmo a essere tale e a raggiungere esiti inattesi, negli alti e nei bassi di una carriera che diviene quasi il percorso tortuoso di un coming of age.
Ne parliamo con il protagonista del film, Marco Jacopo Bianchi in arte Cosmo.
Quando nasce l’idea di Antipop?
L’idea del film è di Jacopo Farina. All’inizio mi lasciava perplesso l’idea di un film su di me, che sono ancora vivo e relativamente giovane. Jacopo ha girato il primo mio video otto anni fa e circa tre anni fa abbiamo avviato il progetto. Di mezzo c’è stata la pandemia, altri ostacoli di vario genere. Lui voleva evitare una narrazione banale e io volevo evitare l'autocelebrazione. Ci sono stati momenti di confronto, a volte anche di scontro, perché è materia anche un po’ delicata. Alla fine, è venuta fuori questa formula che mi piace molto, in cui non venivo intervistato e non comparivo se non nei racconti degli altri. Come a stabilire che esisto perché ci sono altre persone intorno a me che esistono e che mi fanno esistere.
Una delle qualità principali del lavoro di Jacopo è proprio il fatto di uscire dai canoni del documentario musicale, in linea con la tua sincerità di artista e il tuo modo di esporti senza veli. Si arriva al successo attraverso un percorso tortuoso, che molti non conoscono.
Io ad inizio carriera pensavo soltanto a far sì che il mio unico lavoro un giorno potesse essere la musica, con uno stipendio relativamente normale. Non avevo in mente di diventare famoso o riempire i locali, non era assolutamente nelle intenzioni e non sembrava neanche possibile… ma poi è successo.
Cosa ne pensi del riscontro che il film sta avendo, tra proiezioni in sala e ora l’approdo su Mubi?
Molto soddisfatto fino ad ora e si sta allargando la visione perché, grazie all’uscita su Mubi, il film si sta confrontando con un pubblico più ampio. I feedback ricevuti testimoniano quella che è stata la nostra impressione sul progetto. Se non fosse stato qualcosa di valore non avrei voluto che uscisse: è un film che si concentra sul mio passato, su quello che è successo prima che un certo pubblico mi conoscesse. Una sorta di manifesto programmatico, diciamo, che apre a quello che vorrei fare in futuro e mette a fuoco i miei desideri legati alla musica. Per il pubblico che non mi conosce da sempre significa capire che cosa ho fatto dal 2000 a oggi, cosa c’è alle origini del progetto.
Ritornare ai tempi dei Melange o dei Drink to Me e raccontare quella parabola a chi non la conosceva penso che sia una delle cose a cui tu tenessi in modo particolare. Il film diventa anche una mappa per orientarsi in una stagione dell’indie rock…
Cosmo è un progetto pop, relativamente mainstream, per quanto sia comunque sperimentale rispetto alla media dei progetti pop italiani che vanno in radio. Questa personalità caratteristica però viene fuori da una scena che in realtà è ancora in gran parte sconosciuta. I nomi nuovi comparsi nelle radio dal 2016, che hanno iniziato a riempire e locali e i palazzetti, provengono da quella cosa là, da un movimento musicale variegato che si muoveva su un circuito di locali più piccoli, che ha raccolto l'eredità degli anni 90 e che negli anni 2000 si è espresso soprattutto in lingua inglese. Oggi di gruppi italiani che cantano in inglese ce ne sono sempre meno e forse abbiamo un problema opposto, cioè che l'Italia è un ecosistema sempre più chiuso in sé, che guarda solo alla produzione musicale italiana; ma per me è stato importante a un certo punto passare al cantato in italiano, per esplorare una parte differente di me stesso. Anche Calcutta viene fuori da un percorso analogo, per dire, che lo ha portato a un linguaggio a sé, molto personale.
In effetti viviamo una sorta di neo-autarchia: vuoi per i risultati di Spotify, vuoi per la trap o per Sanremo che è tornato hip, c'è un movimento contrario rispetto a quello indie di allora. All’epoca era quasi scontato debuttare cantando in inglese, come hanno fatto anche gli Afterhours, e oggi lo è molto meno.
Sì, detto questo mi piacerebbe raggiungere una dimensione internazionale, senza scimmiottare band o progetti inglesi o americani. Ci vuole coraggio, perché all'estero sono abituati comunque a osare, anche nel pop, molto più che in Italia. L’importante è non imitare modelli esteri per monetizzarli in Italia, ma tirar fuori delle idee e valorizzare la nostra identità. Le idee nuove nascono da una sintesi, non da un’emulazione o dalla sintesi fatta già da qualcun altro.
Una delle chiavi interpretative forti di questo film è proprio il lavoro sulla provincia e sulla particolarità di Ivrea, con quel retaggio un po' ferino con la battaglia delle arance del Carnevale e un diverso rapporto con la violenza. Anti-pop aiuta anche a capire quanto di questo sia nel DNA di Cosmo, no?
Sì, negli anni avevo sottovalutato questo aspetto, ma misurandomi con il mondo esterno ho capito che pazzi scalmanati fossimo. Dalle mie parti a un certo punto la città si riempie di persone che si lanciano arance, con gente che finisce in ospedale, ma senza che si rinunci mai all’amicizia. Fa parte del gioco, anche se spacchi il naso a uno con un’arancia. Ti capita di trovare anche la ragazza fighettina, che a fine giornata sarà sporca di arancia e letame di cavallo mischiati. Un rito che può sembrare assurdo, ma che sa di verità. È una specie di elettrochoc che ti rimette al mondo.
Hai scelto di rimanere a vivere negli stessi luoghi, non hai mai sentito il richiamo della grande città?
Sì, ci sono stati dei pensieri di questo tipo, ma alla fine senza alle spalle una motivazione abbastanza forte. Qui ho una casa e una famiglia, e rimane il luogo giusto, ai piedi delle montagne e circondato da boschi e laghi, per portare avanti questo, da un lato, e la mia vita da artista dall’altro.