MARIO MARTONE CONCORRE AI PREMI OSCAR. IL SUO NOSTALGIA POTREBBE VINCERE

L'opera - un capolavoro - è stata scelta per rappresentare l'Italia agli Academy. 

Pino Farinotti, mercoledì 28 settembre 2022 - Focus
Pierfrancesco Favino (54 anni) 24 agosto 1969, Roma (Italia) - Vergine. Nel film di Mario Martone Nostalgia.

L’ ANICA (l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali) composta da giornalisti, produttori, distributori e addetti ai lavori, ha scelto Nostalgia per rappresentare l’Italia per l’Oscar come opera straniera. Scelta perfetta. Il film è un capolavoro, senza dubbio l’opera di maggiore qualità della stagione.
Merita un canto.

NOSTALGIA
Il film rappresenta l’insieme delle vocazioni del regista. Vanno decifrate rispetto alle discipline. 

Letteratura. Il film prende spunto da un romanzo di Domenico Rea. Nato e morto a Napoli, è chiaro. Martone non tralascia la sua attitudine letteraria, ha lavorato, negli anni, su autori come Elena Ferrante (L’amore molesto), Goffredo Parise (L’odore del sangue), Anna Banti (Noi credevamo). Si tratta di un esercizio che, in automatico, ha affinato la sua vocazione di scrittore vero. Ed è cosa molto rara nel panorama dei nostri registi.
Una citazione per i protagonisti, straordinari. Pierfrancesco Favino (Felice), Tommaso Ragno (Oreste), Francesco Di Leva (Padre Antonio).
Per il racconto di questo capolavoro di Mario Martone procederò attraverso un’antologia che contenga i temi. Per cominciare: “Napule”, naturalmente. 

Napule, tu si adorabile // Siente stu core che te vò di// Chi è nato a Napule nce vo murì.

Lo recitava Totò. Nientemeno. E fa parte di quell’antropologia trasmessa, e assunta nel mondo, da tanti artisti napoletani. Come da Martone. E poi in Nostalgia “nce vo murì” significa molto. 

Il ritorno. Felice torna a Napoli dopo quarant’anni. Ha fatto fortuna in Egitto. Il ritorno, il nostos, (Ν?στοs) è un tema forte e sacrale, antico come la letteratura, che si sublima con Ulisse che impiega dieci anni a tornare da Troia. Accadeva una trentina di secoli fa.

La memoria. È legata al ritorno. Pensi a Napoli per quarant’anni. Eri in città da ragazzo, gli anni più belli. Mi concedo una memoria nobile, la recherce. I ricordi di Proust sono di una nostalgia che lascia spazio anche alla tenerezza, che qui non c’entra. Napoli non è Parigi. Felice aveva un amico che lo proteggeva, Oreste, ragazzo forte e pericoloso. Ma un giorno Felice è presente, da lontano, non vede, ma qualcosa gli cambierà la vita. Oreste uccide un uomo. Felice lascia Napoli, in cerca di fortuna, come si faceva allora. Ma adesso quasi niente è più lo stesso. In quella che era la sua casa vive altra gente. La madre è costretta in uno scantinato. E presto muore. Il reduce cerca di aggrapparsi a quel “quasi”. Si informa su Oreste, le risposte sono di silenzio e di paura. L’amico è un delinquente potentissimo, terrorizza il rione Sanità.  

“Sanità”. Martone fa di quel rione un mondo nel mondo. È più Napoli di Napoli. E lì il regista gioca la sua attitudine estetica. Dunque ecco quelle vie strette, i fili da muro a muro coi panni stesi, qualche donna alla finestra, qualche vecchio seduto davanti a un portone, una voce che canta, una che urla e un’altra risponde. E sulla strada… di tutto. Sono quadri evocativi di una volta, quando il nostro cinema era grande e bello, dettava legge. Sono fotogrammi che, in bianco e nero, potrebbero tenere una mostra lungo le spirali del Guggenheim a New York.
 

Felice intende trasferirsi con la famiglia a Napoli per sempre. Incontra padre Antonio, un prete che aiuta la gente, i giovani, nemico dichiarato di Oreste. Quando sente la confessione di Felice si spaventa, da quel momento è testimone di un delitto, seppure lontano. Intima al figliol prodigo di andarsene. Anche Oreste gli manda segnali inquietanti. Ma Felice non cede. Anzi vuole incontrare il vecchio amico. E ci riesce. Ma non è un amarcord bello e struggente, non ci sono abbracci o lacrime, c’è diffidenza da parte di o malamente. Perché Felice continua ad essere un testimone in pectore, pericoloso. E lui non desiste dal suo sogno, compra una casa. Decisione brutta, impropria.

 

La morale. Pure nel quadro di quell’ “antropologia” di popolo, dove quasi sempre ci si deve “arrangiare” in tutti i modi, dal profondo emerge una morale buona. Felice è ospite di una famiglia, ragazzi, adulti e vecchi. Parla –“troppo” gli dice padre Antonio- del suo vecchio amico. Ma tutti ascoltano in silenzio, non partecipano, non condividono. Attraverso il racconto dell’ospite il male è entrato in quella casa. E tutti ne sono consapevoli, e non va bene.

La musica. Martone la tratta da maestro scaltro. Nel suo Qui rido io la colonna sonora accompagnava la vicenda coi grandi classici della canzone napoletana. Qui il regista inserisce musiche di Steve Lacy e dei Tamgerine Dream, rapinose, un breve suggestivo… stacco da Napoli. In strada, Felice assiste a un gruppo di giovani che cominciano a ballare, la musica che arriva è arabeggiante. A poco a poco si fa coinvolgere. Prima timidamente, poi si integra muovendosi come gli altri. È uno stacco opportuno, un bel pezzo di cinema.

La pietà. E qui evoco un po’ di mito. Un altro ritorno che ha fatto storia. A tornare è Eduardo, nei panni di Gennaro, in Napoli Milionaria. Gennaro è stato catturato dai tedeschi. La guerra sta finendo ma lui è disperso. Moglie, figli, tutti, lo danno per morto. In sua assenza la famiglia si è arrangiata, molto bene, col mercato nero. E la moglie si è fatta un amico. Ma Gennaro torna e non riconosce più niente. E allora Eduardo risolve a modo suo, con la pietà. Che esprime attraverso quella memorabile frase: Adda passà a’nuttata. Ma nella “Sanità” di adesso per la pietà non c’è spazio. Felice, contento del suo status di reduce tornato, cammina di notte nei suoi vicoli, sorridendo a sé stesso.  Anche Oreste ci cammina e non sorride. I due si incontrano…

Il rione Sanità ha apprestato i due destini. Lo diceva Totò, appunto: Chi è nato a Napule…

A chiudere.

Nostalgia era in concorso a Cannes, unico titolo italiano, per la Palma d’oro. Non ha ottenuto riconoscimenti. Ma non ottenere riconoscimenti da quelle parti ha un certo significato, con la visione, “singolare” diciamo così, che hanno in Costa Azzurra del cinema da qualche anno. Il concetto è condiviso dalla maggior parte della critica. Comunque il film ha ottenuto in sala, delle vere ovazioni, e applausi a non finire. Inoltre ha conquistato il gradimento del pubblico, anche questa è… una “Palma”.

E non può mancare una menzione per Pierfrancesco Favino. Con lui Martone ha completato il podio dei tre fenomeni della nostra recitazione, gente capace di “diventare” come nessuno il personaggio. Come Elio Germano Leopardi, Toni Servillo Scarpetta e Favino Felice. L’attore ha lavorato in profondità sul suo personaggio. Un uomo che non parla napoletano da quarant’anni e torna a Napoli. Il suo è un italiano senza radici, che risente di arabo. Favino, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha spiegato tutto “sì, ho imparato l’arabo” e ha raccontato il suo rapporto col rione sanità e col regista.

La sintesi è che, al di là dei blockbuster, dei film di robot per pubblico robotizzato, delle animazioni buone per bambini e nonni, delle fastidiose vicende politicamente corrette, ogni tanto ci si imbatte in opere e in artisti che ci offrono qualcosa di veramente buono, di diverso. Che ci soccorre.  

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