'Filmare' i versi è un lavoro molto complesso. L'autore che affronta il tema merita un plauso, grande.
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A Quiet Passion è nelle sale, firmato da Terence Davies. Racconta la vita di Emily Dickinson (1830-1886), un'anima triste, complessa e dotata di una grazia particolare, capace di leggere il presente e anche il futuro del suo Paese. È la più grande poetessa americana. Trascorse la vita fra le mura di casa, isolata, a contatto solo con la propria creatività che era per lei una difesa e un'esplorazione. Dal suo luogo chiuso intese e raccontò il dramma intellettuale e morale dell'America, precorrendo la storia e grazie a uno stile unico e innovativo, sul piano della metrica e del lessico. La Dickinson come premessa e strumento per un discorso sul rapporto fra il cinema e la poesia. Ma voglio dare un'altra indicazione rispetto alla funzione del cinema, che da qualche tempo si interessa all'arte nobile, alludo ai tanti titoli dedicati ai pittori, e non si tratta solo di un Caravaggio e di un Van Gogh, ma di artisti, innovatori, "diversamente popolari": alludo a gente come Schiele, Schnabel, Beuys, Diefenbach, per citarne alcuni.
Esiste un momento di poesia applicata, esclusiva del cinema, riguarda il movimento del cosiddetto "Fronte popolare": titoli come La grande illusione, Il porto delle nebbie, Les enfants du Paradis, autori come Clair, Renoir, Carné, soprattutto Prévert, poeta. I personaggi, un disertore, un ladro o un ferroviere, dialogavano col linguaggio dei poeti, un registro opposto a quello del cinema, che vuole battute semplici e dirette. Eppure la grande qualità, il sortilegio di quelle parole, scardinavano la regola ferrea. "Quel" cinema è il più alto che sia mai stato prodotto, nelle epoche e nei paesi.
Jane Campion, regista neozelandese nel suo Un angelo alla mia tavola (1990) racconta la storia di Janet Frame, poetessa dalle pesanti patologie, all'inizio incompresa, ma due volte candidata al premio Nobel. La stessa Campion, dedica il suo Bright Star agli ultimi anni di vita del poeta inglese John Keats (1795/1821) morto a Roma a 26 anni. La Campion, nei titoli finali fa leggere tutti gli ottanta versi dell'Ode all'usignolo, poema magico e tragico. Uno stralcio che incantò Fitzgerald: Anche se la mente, lenta, ha perplessità e indugi / Con te, subito tenera è la notte / Con la sua luna regina sul trono / E le fate stellate tutt'intorno.
Ci vuole coraggio a privilegiare la pura parola. Anche in The Reader (2008), di Stephen Daldry, la poesia è attore protagonista. La protagonista Anna seduce il 17enne Michael. La donna, analfabeta, chiede al ragazzo di leggerle dei libri. Si comincia con l'Odissea. Musa, quell'uom di multiforme ingegno / Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra / Gittate d'Ilïon le sacre Torri; / Che città vide molte e delle genti / L'indol conobbe; che sovr'esso il mare / Molti dentro nel cor sofferse affanni. Durante la lettura il film si ferma, per rispetto, per sortilegio, per... Omero. È in quel momento che le due 'forme' si trovano l'una di fronte all'altra. Il confronto è impietoso, i versi annientano il cinema.
Allen Ginsberg, il beat maledetto viene raccontato dai registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman nel film Urlo (2010). Gran parte del tempo è coperto dai versi. Una scelta: Ho visto le migliori menti della mia generazione / Distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche / Trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa / Hipster dal capo d'angelo ardenti per l'antico contatto celeste. Il "Giovane favoloso" è Giacomo Leopardi nel film di Mario Martone del 2014. Lo straordinario Elio Germano recita nella notte la poesia della nostra più bella formazione: Sempre caro mi fu quest'ermo colle... Anche lì il cinema si immobilizza mentre "suonano" i versi. Solo alcuni fiori dell'antologia favolosa.