CHE FINE HA FATTO BERNADETTE?, UN LINKLATER MINORE CHE SA RENDERSI NECESSARIO

Lo sperimentale regista rientra nei canoni offrendo però una profonda riflessione. Al cinema.

Tommaso Drudi, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema, venerdì 20 dicembre 2019 - Scrivere di Cinema

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Cate Blanchett (Catherine Elise Blanchett) (55 anni) 14 maggio 1969, Melbourne (Australia) - Toro. Interpreta Bernadette Fox nel film di Richard Linklater Che fine ha fatto Bernadette?.

C'è una tappa obbligata nel lungo viaggio che porta l'autore a costruirsi il proprio percorso artistico. C'è un momento nel quale il processo di crescita si accartoccia su se stesso, riflette sulla sue strutture d'identità e cammina sul filo del già visto e del già detto, in modo che sia quasi indispensabile un ripensamento dell'intero arsenale poetico. Per l'autore, e solo per il semplice fatto di esserlo, l'appuntamento con l'opera "minore" è solo una questione di tempo. Nell'universo cinema, questo periodo di impasse stilistica non coincide con il brutto film ma piuttosto con quello modesto, a cui mancano carattere definitorio e potere comunicazionale: che sia una rievocazione sterile di ossessioni ormai ampiamente esplorate in formule cinematografiche migliori, com'è successo un paio di anni fa con Quello che non so di lei (guarda la video recensione) di Polanski e Ore 15:17 - Attacco al treno (guarda la video recensione) di Eastwood, oppure un approccio annoiato a storie troppo distanti dagli interessi del regista perché trasmettano davvero l'urgenza di essere raccontate, ad esempio il debolissimo Spike Lee di Miracolo a Sant'Anna.

Ogni autore attraversa una fase di contrazione creativa per la quale non gli è più possibile essere un fabbricante di segni, ma al limite di simulacri.
Tommaso Drudi, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Vivere il ristagno del proprio sensorio artistico è normale anche se sei uno di quelli che ha esplorato le frontiere dell'audiovisivo fino a trovare nuove possibilità di linguaggio, anche se molto prima del chiacchierato Undone hai usato il rotoscope come tecnologia alla base della narrazione, anche se con lo sperimentalismo folle di Boyhood hai dimostrato che il tempo non solo può essere fissato nell'esperienza cinematografica (sintesi sui cui Nolan si è sempre intestardito e che ha risolto solo tardi con Dunkirk (guarda la video recensione)) ma addirittura può farla diventare avanguardia. È normale, insomma, anche se ti chiami Richard Linklater.

Che un autore del suo livello, al quale oltretutto si deve Prima dell'alba e quindi una piccola grande rivoluzione interna alle meccaniche spesso troppo prevedibili del romantic movie, proponga un film così poco ambizioso come Che fine ha fatto Bernadette? (guarda la video recensione) non significa nulla di più se non lo sfruttamento di un materiale narrativo poco impegnativo per farvi aderire, senza troppe pretese, la propria linea di pensiero. Eppure, come spesso accade ai grandi del cinema quando riescono a rendere necessario persino un film minore, anche il confronto con personaggi mediamente comunicativi e storie di piccole dimensioni è in grado di creare un surplus affettivo e strampalate forme di empatia.

Nella storia di Bernadette Fox, donna depressa e sociopatica un tempo brillante architetto, mancano totalmente il dialogo sottile e la scrittura millimetrica che racconta la quotidianità dei rapporti familiari, due elementi fondativi di quell'enorme creazione visuale che è Boyhood: Linklater rinuncia all'economia dei sentimenti e si affida alla recitazione esuberante di Cate Blanchett, a drammi solo accennati ma posti al centro dei momenti di maggior verticismo emozionale, a separazioni rocambolesche e a riconciliazioni da melodramma.

Siamo, dunque, ben distanti da una vera messa in questione delle problematiche connesse alle dinamiche familiari dell'alta borghesia americana, siamo a dire il vero entro i sicuri confini del crowd pleaser e della drammaturgia più mainstream, in cui le paranoie della protagonista portano senza soluzione di continuità dalla risata al pianto a seconda delle esigenze di sceneggiatura. Tuttavia la struttura assolutamente standard della vicenda, che la personalità inafferrabile di Linklater in regia trasforma in goffa e piacevolissima avventura prima tra le mura di casa e poi tra i ghiacci dell'Antartide, non impedisce all'autore di lavorare sottotraccia e di psicoanalizzare la sua Bernadette per descrivere la pericolosità e la mutevolezza dell'arte.

Chi vive la tensione artistica è condannato alla creazione e la luce del proprio genio non si riverbera unicamente sull'opera ma anche, e soprattutto, sulle cose e sulle persone che ha intorno: Bernadette è un'artista quando prende un vecchio stabilimento industriale per convertirlo in una villa prodigio dell'architettura e lo è allo stesso modo quando dedica tutta se stessa alle cure della figlia appena nata, malata e con scarse probabilità di sopravvivenza. La creazione è una questione identitaria, la genesi dell'oggetto artistico è una dichiarazione di accessibilità da parte dell'autore che ci invita a varcare le soglie del suo mondo ed è, allo stesso tempo, un conto alla rovescia che raggiunge lo zero quando cessiamo di stupirci, quando cioè l'opera ha terminato il suo viaggio e non ha più bisogno di essere lavorata.

Che fine ha fatto Bernadette? parla allora della pericolosità di dipendere dall'arte, del bisogno di essere gli interpreti di una vocazione a creare in qualsiasi contesto, della paura di non sapere dove e come far vibrare la propria umanità quando non si hanno stimoli. Perché un grande autore sa fare anche questo: rendere necessario e inaspettato anche un film "minore".

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