SOLDADO, UN SAGGIO DI REGIA CHE DIMOSTRA LA FORZA ESTETICA DI SOLLIMA

Un film duro ed incendiario che si fonda sugli archetipi del mito americano. Al cinema.

Lorenzo Ciofani, vincitore del Premio Scrivere di Cinema, mercoledì 24 ottobre 2018 - Scrivere di Cinema

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Benicio Del Toro (Benicio Monserrate Rafael Del Toro Sanchez) (57 anni) 19 febbraio 1967, San German (Portorico - USA) - Acquario. Interpreta Alejandro nel film di Stefano Sollima Soldado.

Stefano Sollima non è il primo regista italiano chiamato a dirigere un film negli Stati Uniti. Prima di lui ricordiamo almeno Franco Amurri, Carlo Carlei, Gabriele Muccino, che hanno davvero lavorato dentro le dinamiche dell'industria americana con maestranze in prevalenza non italiane. Il rischio di farsi schiacciare dalla macchina è notevole, tant'è che in molti, da Vittorio De Sica a Federico Fellini, hanno respinto le lusinghe hollywoodiane, mentre altri le hanno accettato portandosi al seguito fidati collaboratori (Paolo Virzì ne è l'ultimo esempio).

A suo modo, Sollima compie un'operazione analoga a quella de La ricerca della felicità di Muccino: interpretare un racconto tipicamente americano con lo sguardo peculiare che ha altresì motivato l'ingaggio dell'autore straniero. Lì il "feel good movie" a partire da una storia vera, qui l'action-thriller realistico. Ancora: lì, un problematico ma fiducioso ripensamento dell'edonismo reaganiano; qui, una bomba detonata nella propaganda trumpiana per rivelarne le contraddizioni. La differenza sostanziale tra i due è nella complicità con i personaggi e il pubblico, che in Sollima è volontariamente latitante come s'impone ad un regista come lui intriso di pessimismo.

Forse la distanza geografica dai luoghi dello scontro e un maggior disincanto politico ci aiutano a leggere Soldado (guarda la video recensione) senza la mappa ideologica di una politica governativa intrisa di xenofobia antimessicana.
Lorenzo Ciofani, vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Aggrapparsi alla tesi secondo cui il film grondi di stereotipi razzisti sembra la spia di una cattiva coscienza che finisce per non sottolineare l'intelligenza con cui Sollima adatta la sua specifica prospettiva ad una complessa macchina produttiva. D'altronde, Soldado è un film che gli appartiene completamente, un vero saggio di regia che dimostra la sua forza estetica, la cui apoteosi sta nell'incredibile sequenza degli elicotteri.

Più che il sequel di Sicario di Denis Villeneuve, ne è un'appendice meno cerebrale ed inquietante, la dilatazione di un universo narrativo abitato dai due sopravvissuti del precedente film. Che ora tra i controversi Josh Brolin e Benicio del Toro manchi una figura come quella di Emily Blunt, in grado di incarnare la possibilità di una flebile speranza, indica lo scetticismo di un regista morale che si muove in un contesto amorale senza moraleggiare. Pigramente accusato, dacché si è imposto prima con la serialità e poi al cinema, di narrare il male esercitando una pericolosa fascinazione nei confronti dei personaggi negativi, qui evita il rischio degli effetti collaterali mostrando un'efferata corale criminale avulsa dal romanticismo della malavita, in cui i presunti buoni sono fin troppo cinici per essere davvero esemplari rispetto ai bruti dei cartelli messicani.

Oltretutto, Sollima sa dare la giusta voce alla sceneggiatura di Taylor Sheridan, ultimo alfiere del western che si riverbera nella contemporaneità, con la sapienza artigianale di un regista cresciuto alla scuola del genere, facendo in modo che sugli archetipi del mito americano si fondasse un film talmente duro ed incendiario. Dopo Roma e Napoli, ormai da lui stesso ricodificate, stavolta esplora gli spazi della frontiera tra Texas e Messico sì consapevole di quanto quel territorio sia il luogo di un conflitto eternamente rifocillato dalle narrazioni del potere, ma anche lasciandosi affascinare, specie nella seconda parte, da uno straniamento (i cieli, l'arsura) che accompagna verso il finale aperto su un'amarezza sconfinata.

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