Il maestro del cinema horror aveva 77 anni. Lascia in eredità una saga che ha influenzato un'intera generazione di cineasti.
George A. Romero se n'è andato, quasi in punta di piedi, ai margini di un'industria cinematografica che non l'aveva quasi mai compreso, ma sempre nella mente e nel cuore dei molti che hanno negli anni apprezzato i suoi film. Adesso la sua figura di geniale outsider può essere consegnata alla storia del cinema per ricoprirvi un posto di rilievo tra i veri innovatori. Perché la sua caratteristica principale è sempre stata una naturale originalità che gli ha consentito di incidere in maniera indelebile sulla situazione che aveva trovato.
Il suo film d'esordio come regista, La notte dei morti viventi (realizzato nel fatidico 1968), è uno spartiacque per il cinema horror (ma, si badi, non solo per quello).
Non ultima, l'introduzione di un nuovo "mostro" nel pantheon dell'horror, il morto vivente. Un mostro collettivo e proletario, per la prima volta. Gli zombie caraibici c'erano già, però erano un'altra cosa e difatti Romero - che ha creato una mitologia perfetta, con regole rimaste inalterate negli anni e imitate da tanti (troppi, forse) - non si riferiva volentieri ai "suoi" come zombie, ma piuttosto come morti viventi.
Nato a New York il 4 febbraio del 1940, ma riposizionato, prima degli ultimi anni canadesi, in quella Pittsburgh diventata luogo ideale per i suoi film, Romero si appassiona subito al cinema e, dopo molti cortometraggi realizzati sin quasi da bambino, coinvolge amici e conoscenti per autofinanziare La notte dei morti viventi, lavorandoci nei weekend lasciati liberi dall'attività di pubblicitario e realizzando, quasi per caso ma con una profonda consapevolezza negli intenti, un capolavoro. Il successo è notevole, ma, a segnalare una caratteristica che avrebbe in parte segnato anche in seguito l'attività del regista, ben poco dei guadagni finisce nelle tasche dei realizzatori, tra fallimenti della casa distributrice e inghippi burocratici nel copyright.
A testimoniare la volontà di non fossilizzarsi su un'unica tematica e una poliedricità creativa troppo spesso mortificata dalle esigenze commerciali, Romero realizza in successione film assai diversi tra loro: una commedia drammatica sentimentale come There's Always Vanilla (1971), una moderna storia di streghe che è soprattutto un film profondamente femminista come La stagione della strega (1973), un lucido apologo apocalittico come La città verrà distrutta all'alba (1973), ma soprattutto Wampyr (1977), un film di sorprendente lucidità e acutezza che rivisita in chiave psicanalitica e realistica il mito dei vampiri.
Gli esiti commerciali non sono brillanti e allora Romero, con l'amico Dario Argento alla produzione, torna per così dire a casa, ai morti viventi, con Zombi (1978), un affresco complesso e coinvolgente che contiene un'acuta riflessione sulla natura umana e sulla società dei consumi.
L'insuccesso commerciale del film riporta Romero su un terreno sicuro, dapprima con il film a episodi, assieme a Stephen King, Creepshow (1982), con cui omaggia i fumetti horror della sua giovinezza, e poi con il terzo film dei suoi amati morti viventi, Il giorno degli zombi (1985). Ma quest'ultimo, per problemi produttivi che ne ridimensionano il budget e le possibilità, viene all'epoca accolto freddamente ed è stato oggetto di rivalutazione solo in tempi più recenti, quando ne sono apparse evidenti la profondità e l'originalità.
Monkey Shines (1988) e La metà oscura (1993), ancora da King - inframmezzati da un episodio non troppo riuscito in Due occhi diabolici, film antologico da Poe, di cui l'altra metà è diretta da Argento - sono il risultato dell'incontro avvelenato con l'industria hollywoodiana: film interessanti e ben realizzati, ma talvolta danneggiati dal compromesso. Vengono poi anni di lotta in quello che viene definito development hell, con progetti che non riescono ad andare in porto, mentre altri sfruttano all'inverosimile l'intuizione e le idee romeriane creando decine e decine di film e serie televisive sugli zombie.
proprio agli zombie, dopo il curioso Bruiser (2000), Romero torna per gli ultimi film: La terra dei morti viventi (2005), Le cronache dei morti viventi (2007) e Survival of the Dead (2009), in un sussulto finale di creatività a rappresentare tasselli tardivi, forse, ma di certo non inutili a una saga che col tempo si è un po' sfilacciata, ma ha conservato intatta, rispetto agli altri film del genere, la capacità di sorprendere e di innovare e soprattutto di tenere ferma la rotta sul significato morale e politico che l'ha sempre contraddistinta.
Persona di grande gentilezza e disponibilità con chiunque lo avvicinasse, Romero è stato uomo di grande rigore morale - nei difficili anni '70 si era ritrovato con parecchi debiti, ma aveva rifiutato la facile scorciatoia del fallimento (che negli USA è possibile anche alle persone fisiche) preferendo lavorare duro e ripagare nel tempo i creditori - e lascia un'eredità notevole fatta non solo di film, ma anche di integrità morale e autoriale. Non ha ricevuto per quello che ha dato, ma i suoi film restano e hanno lasciato un'influenza pervasiva e inestimabile. Comunque lo si voglia considerare, ci lascia un regista unico, sempre personale e originale: nessuno è stato come lui e nessuno più sarà come lui.