IL DUBBIO - UN CASO DI COSCIENZA, L'IRAN E L'OCCIDENTE SONO POI COSÌ DISTANTI?

Due società apparentemente così diverse sono in fondo accomunate dalle stesse preoccupazioni. Al cinema.

Roy Menarini, lunedì 14 maggio 2018 - Focus

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Navid Mohammadzadeh (39 anni) 6 aprile 1986, Ilam (Iran) - Ariete. Interpreta Moosa nel film di Vahid Jalilvand Il dubbio - Un caso di coscienza.

Il rapporto di noi spettatori occidentali con la cultura iraniana è ondivago. Non conoscendo bene quella realtà, incredibilmente dinamica pur all'interno di forme politiche e sociali conservatrici, non sappiamo mai come rapportarci alle contraddizioni secolari e religiose che vi albergano. Anche i registi iraniani - sia quelli più liberi, sia quelli costretti alla semi-libertà come Jafar Panahi - sembrano interrogare queste insanabili aporie, magari in maniera più "interna" alla nazione ma sempre in grado di farsi portatori di interrogativi universali.

L'equivoco per cui il cinema iraniano è stato una sorta di mera rielaborazione del neorealismo (almeno quello di Kiarostami e della sua generazione), rischiando di non comprenderne la specificità moderna, è stato superato dalla nuova generazione, quella di Asghar Farhadi, che non è stato semplicemente il più distribuito dei cineasti iraniani nel contesto internazionale, ma anche il modello di nuove forme narrative.
Roy Menarini

Il dubbio - Un caso di coscienza (guarda la video recensione) appartiene chiaramente a questa costellazione cinematografica: il meccanismo è quello di partire da una frattura, un trauma, un problema e di farlo via via crescere sino ad abbracciare questioni morali ben più ampie. Vahid Jalilvand lavora sull'interrogativo etico di un medico, che sospetta di essere la causa della morte di un bambino (in seguito a un incidente), anche se la ragione parrebbe invece da ricercarsi in un avvelenamento da cibo, e in questo caso la responsabilità cadrebbe sul padre, a sua volta incolpevole perché ingannato in una compravendita di polli.

Il medico legale benestante, protagonista del film, non può essere più diverso dalla figura di precario e poveraccio che sbarca il lunario come può, cercando di proteggere la sua famiglia ma trascinandola nel baratro senza volerlo. La disperazione del secondo appare più profonda e urgente dei dubbi morali del primo, che in qualche modo si può permettere il rimorso di coscienza perché protetto dallo status borghese. E la presenza di classi fortemente laicizzate nella società iraniana, pur sotto governi che rispettano la rivoluzione islamica da cui è nato l'Iran contemporaneo, appare come un ingrediente fondamentale delle storie di questo nuovo cinema persiano.

Dal punto di vista narrativo e formale, non sembrano esserci le radicali messe in discussione dello statuto e della veridicità delle immagini come all'epoca di Kiarostami e Panahi, tuttavia - con la grammatica di un cinema drammatico di stampo realista - non significa che Vahid Jalilvand rinunci a qualsiasi ambizione stilistica. Semplicemente, non è per quella strada che Il dubbio - Un caso di coscienza e film come questo cercano di sollecitare lo spettatore. L'enfasi è principalmente sul racconto e sui personaggi, tra cui spicca anche quello della moglie del medico al tempo stesso coscienziosa e angosciata, per cui il destinatario vede crescere anche nella sua mente le crescenti contraddizioni.

"E tu, che cosa faresti?", chiede Il dubbio - Un caso di coscienza nella maniera più diretta, specie quando il caso di coscienza spinge il protagonista al rischio di perdere tutto quello che ha. Il tema dello spossessamento, sia di beni materiali sia di rispettabilità sociale, è un altro elemento di vertigine che giace sotto l'apparente razionalità degli interrogativi e delle forme di messa in scena. Quindi ci troviamo di fronte a un cinema che riguarda una situazione particolare, quella iraniana, ma che col procedere del tempo ci ricorda quanto poco siamo distanti dalle stesse preoccupazioni di società apparentemente diverse e lontane.

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