Ecco perchè il suo 'Bob Honey Who Just Do Stuff' è stato definito dalla critica USA 'il libro più brutto del mondo'.
È in uscita 'Bob Honey Who Just Do Stuff', un romanzo di Sean Penn. Gran parte della critica Usa lo ha definito "il libro più brutto del mondo". "Gran parte" significa anche la critica liberal, quella dei democratici, che ha sempre sostenuto a spada tratta l'attore. Sean Penn è un ribelle, meglio, un ribelle cattivo. Che il movimento del cinema, e non solo quello, sia storicamente schierato con la sinistra americana, cioè con le amministrazioni democratiche è un dato accreditato. La cultura, l'intellighenzia, lo spettacolo sono sempre stati pronti a sostenere presidenti come Roosevelt, Kennedy, e risalendo nel tempo, Clinton e Obama. Altri, come Reagan, i Bush e Trump, repubblicani, hanno destato simpatie minori, diciamo così. Citazioni esemplari: nel 2004 Michael Moore firmò Fahrenheit 9/11, una critica feroce nei confronti di Bush padre. Nel 2008 Oliver Stone ha diretto W., in cui descrive Bush figlio come un vero idiota. Due autori, fra i molti, antagonisti, ribelli, perentori nella critica.
Non ha mancato, Penn, di esaltare come eroi, Hugo Chavez, il dittatore venezuelano grande nemico dell'America e il narcotrafficante messicano Joaquìn Guzman. Va detto che l'America, pure in piena epoca di contestazione e di revisione, è sempre un modello di democrazia e ti permette questa dissacrazione della propria immagine. Non ci saranno ritorsioni. Un'azione contro un Putin o un Erdogan avrebbe avuto un altro destino.
Ma adesso, Sean ha esagerato. E ha irritato un po' tutti, repubblicani, naturalmente, ma anche democratici. Ha preteso troppo. Lo abbiamo apprezzato come attore (due Oscar da protagonista) ma adesso ha voluto scrivere. E non è facile, se non sei scrittore. Non basta la popolarità non basta l'arroganza, ci vuole la vocazione. La franchigia, spessa e resistente, che ha sempre sostenuto Penn, si è dissolta. La tendenza più praticata in America di questi tempi, parlo sempre di quelle fasce, è insultare Trump. È di questi giorni il pronunciamento di Robert De Niro che davvero non ha fatto sconti: "Non sa quello che fa... prima lo arrestano meglio è."
È arrivato il momento in cui occorre maggiore creatività, continuando ad essere un ribelle, certo. Invece lo "scrittore Penn" è intervenuto solo sulle misure, sulla qualità degli insulti. E, come De Niro, non ha fatto prigionieri: attacca tutti, presidente, sistema, persino soggetti che sembravano al riparo, come Hillary Clinton, simbolo democratico. L'io narrante si scaglia contro il presidente, che si chiama Mr. Landlord senza mezzi termini: "...Non sei semplicemente un presidente, che merita l'impeachment, sei un uomo che ha bisogno di essere curato. Non siamo un popolo bisognoso di una cura, siamo una nazione alla quale serve un assassino... e ora twittami qualcosa, stronzo, ti sfidoì". Penn, ecco la novità, se la prende anche con l'antagonista democratico in campagna elettorale, che poi sarebbe, appunto, Hillary, che definisce "assolutamente il peggiore candidato possibile per rappresentare il partito". A difendere Penn si sono levati davvero in pochi, fra i quali nomi che certo contano, come Sarah Silverman, icona televisiva, soprattutto Salman Rushdie, il popolarissimo scrittore indiano-britannico. Ma questa volta, pare non siano bastati.