Candidato come Miglior Film agli EFA, l'opera di Gints Zilbalodis ci ammonisce sul futuro prossimo venturo elevando a valore la forza del gruppo senza però mai negare l’apporto delle singole individualità. Al cinema. VAI ALLO SPECIALE EFA »
Ci sono film di animazione che sfuggono a gran parte delle logiche di mercato riuscendo, nonostante il rischio preso o forse proprio per questo, a raggiungere non solo gli schermi ma anche il cuore e la mente degli spettatori. Perché Flow - Un mondo da salvare - in corsa come Miglior Film e Miglior Film d'Animazione agli EFA 2024 - non è prodotto e/o distribuito da una major ed arriva da un Paese che non è collocabile nella memoria comune come una delle nazioni produttrici del cinema di animazione di punta. Stiamo parlando della Lettonia (anche se qui c’è una coproduzione che vede interagire il Belgio e la Francia). Gints Zilbalodis ha alle spalle un film che lo aveva fatto notare nel tempio europeo del cinema di animazione cioè il Festival di Annecy nel 2029. Purtroppo l’anno successivo il Covid faceva sì che la sua possibile diffusione sul piano internazionale venisse vanificata.
Da quel film però Zilbalodis ha derivato un’esperienza e una tematica che gli hanno consentito, con un budget decisamente molto più ampio ma anche con la necessità di un coordinamento ovviamente maggiore, di arrivare a Cannes nella sezione “Un certain regard”. Se in Away c’era un ragazzo che, dopo un incidente aereo, cercava di fare ritorno a casa qui c’è un gatto che, inizialmente in solitario, deve affrontare una catastrofe ecologica. Il tema purtroppo è più che mai di attualità (ciò che è accaduto a Valencia è solo l’ultima, ma c’è da temere non definitiva, catastrofe alluvionale).
Uno degli animali più refrattari all’acqua accede al ruolo di protagonista in un film che lavora sui contrasti con grande consapevolezza e maestria. Ci troviamo di fronte ad una totale assenza di parole (torneremo sul tema dell’antropomorfizzazione nei film di animazione con animali) ma con un sonoro di straordinaria qualità che in più di un’occasione si vede cedere il passo dal soundtrack musicale magnificando l’accuratezza della sua elaborazione. Forse il paragone potrà sembrare irriverente ma siamo al livello di Platoon di Oliver Stone, non a caso vincitore dell’Oscar per il miglior sonoro. Non solo per quanto riguarda i suoni d’ambiente ma anche per quanto attiene agli animali che, appunto, non si comportano come esseri umani (fatta salva l’eccezione del controllo, a un certo punto, del timone della barca).
Se la grafica di alcuni di loro, in particolare del capibara, può risultare un po’ troppo semplificata il contesto ambientale è proposto con quella cura estrema che alimenta al contempo il senso di tragedia irreversibile, l’onirismo (che diviene esplicito in una scena con il gatto e il volatile) e una poeticità che pervade lo schermo. Lo spettatore non solo finisce con l’aderire a ciò che il gatto fa ma anche con il suo pensiero in un film che mostra un percorso mai scontato di collaborazione (si veda in proposito la reazione di alcuni dei cani poco prima della conclusione) dove però non ci sono vincitori trionfanti. L’essere umano non è sopravvissuto, non si sa a quale altra catastrofe che ha preceduto quella in corso. Ha lasciato le sue tracce negli oggetti, siano essi statue siano edifici ormai vuoti e pronti per essere sommersi dalle acque od oggetti come lo specchio tanto amato dal lemure.
Zilbalodis non ha bisogno di eroismi. Il sottotitolo con cui il film è uscito in Francia (Le chat qui n’avait plus peur de l’eau) è di fatto deviante. Non si tratta di un superamento di un ostacolo come si fosse in una gara con se stessi. Si tratta di una necessità finalizzata alla sopravvivenza in un contesto che ci ammonisce sul futuro prossimo venturo elevando a valore la forza del gruppo senza però mai negare l’apporto delle singole individualità. Zilbalodis è uno di quei registi (purtroppo non numerosissimi) che non pretendono di spiegare tutto. Vuole che lo spettatore intervenga con la propria immaginazione o creatività a sviluppare i raccordi e a fare ipotesi sul non detto. Va ringraziato anche per questo.