LEGGERE LOLITA A TEHERAN, UN INNO ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

Dal libro di Azar Nafisi, sopravvissuta alla repressione e al fondamentalismo islamico, è nato il film di Eran Riklis. Dal 21 novembre al cinema.

Marzia Gandolfi, lunedì 18 novembre 2024 - Focus
Golshifteh Farahani (42 anni) 10 luglio 1983, Teheran (Iran) - Cancro. Interpreta Azar Nafisi nel film di Eran Riklis Leggere Lolita a Teheran.

“Leggere Lolita a Teheran”. Un curioso paradosso e molto altro ancora. Dal 1979 al 1997, Azar Nafisi, autrice del romanzo adattato per lo schermo da Eran Riklis, è sopravvissuta alla repressione e al fondamentalismo islamico insegnando ai suoi studenti e alle sue studentesse i capolavori ‘decadenti’ della letteratura occidentale, “Lolita” di Vladimir Nabokov in primis. Lo ha scelto perché riecheggiava la sua vita sotto il dominio dell’Iran ‘rivoluzionario’. Era la storia di un’identità confiscata, di una fantasia solipsistica. Come Lolita, gli iraniani e le iraniane erano diventati all’improvviso un frammento del sogno di qualcun altro, di un ayatollah austero che leggeva solo il Corano. E il romanzo, come il film omonimo, racconta proprio quegli anni passati a cercare la salvezza nei libri, a trascendere un contesto politico che invadeva ogni angolo della vita privata. 

Dopo aver studiato in Europa e negli Stati Uniti, Nafisi (Golshifteh Farahani nel film) torna nel suo Paese alla vigilia della rivoluzione e, contro ogni previsione, insegna letteratura inglese e americana all’Università di Teheran. Ma nel 1981 viene licenziata per essersi rifiutata di indossare il velo. Sei anni dopo, nel pieno della guerra Iran-Iraq e in un clima di forte pressione politica, le verrà offerto un posto alla Free Islamic University e poi all’Università Allameh-Tabataba’i di Teheran, che lascerà esausta e disgustata per dedicarsi a un sogno: gestire segretamente un seminario di letteratura. Sette giovani studentesse per Henry James, Virginia Woolf, Vladimir Nabokov, Saul Bellow, Jane Austen, James Joyce… chiavi di accesso a un mondo in cui sensualità e libertà non sono proibite.

Questa pericolosa avventura diventerà un romanzo magnifico e poi un film, un racconto autobiografico in cui i ricordi delle letture sono inestricabilmente legati alle convulsioni della Repubblica islamica. Mentre fuori la tirannia è in pieno e drammatico svolgimento, tra le mura del suo appartamento Nafisi introduce giovani allieve, alcune provenienti da ambienti molto conservatori, ai dilemmi delle eroine jamesiane o alle passioni sommesse dei personaggi austeniani. A contatto coi testi, come toccate da una grazia discreta e luminosa, le donne si raccontano e si rivelano. E l’analisi delle opere va oltre lo studio strettamente testuale, Nafisi articola letteratura e sfera pubblica. Nel suo mondo, il poeta sfida il censore per recuperare “il colore dei sogni”. 

Ventuno anni dopo, il suo libro è diventato un film lanciato contro la discriminazione e l’oppressione permanente, perché in Iran la contestazione passa anche per l’arte. Se la creazione artistica si mette al servizio della rivolta, molte donne si mettono a nudo, rischiando ogni giorno la loro vita. Senza velo, obbligatorio nella Repubblica islamica, e senza veli, come la studentessa iraniana arrestata la settimana scorsa a Teheran dopo essersi spogliata in pubblico, le donne sostengono l’insurrezione col corpo, oggetto principale della repressione dell’esercito ideologico del regime iraniano. Un gesto, quello di Ahoo Daryaei, studentessa di letteratura francese all’Università Islamica Azad, che trasforma un incidente contro il pudore pubblico in un’azione politica di protesta. Molestata dalle guardie di sicurezza per non aver rispettato il rigido codice vestimentario islamico, rompe con fragore le barriere del silenzio e dell’oppressione. 
Con un paio di slip, il reggiseno e i lunghi capelli neri sciolti lungo la schiena, si è alzata e si è messa a camminare lentamente per il campus, come in preda a una trance. Raggiunta dalle forze di sicurezza in borghese, è stata brutalmente imbarcata in macchina e trasferita in un’unità di salute comportamentale, una tattica utilizzata spesso dal regime della Repubblica Islamica per minare gli atti di resistenza delle donne iraniane, per screditare le loro proteste prima di internarle in ospedali psichiatrici e buttare la chiave.

Ma Ahoo Daryaei, come Azar Nafisi, ha spostato più in là la frontiera della collera. Leggere e spogliarsi in Iran sono atti pacifici di sfida, che conducono all’arresto e alla detenzione ma rappresentano un momento cerniera nella resistenza crescente delle donne iraniane. Delle accuse fanno entrambe un atto di resistenza per interrogare le credenze patriarcali e riprendersi i diritti individuali. Leggete il romanzo, se non lo avete ancora fatto, e poi correte al cinema, perché “Leggere Lolita a Teheran” è uno degli inni più belli alla libertà di espressione e al potere della letteratura, un’indispensabile sorgente di vita, per tutti i Paesi del mondo e sotto tutti i regimi politici. Dentro un permanente campo di battaglia è un corso eroico e clandestino. È un’insurrezione intima ficcata come una spina nel cuore della Repubblica islamica. Dentro vibrante di vita e passione, fuori tonante di arresti, esecuzioni, sirene…

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